La guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina è ricominciata. Voli bloccati, limitazioni alle importazioni. La Casa Bianca, dopo la decisione di Pechino di ridurre l’acquisto di soia e maiale provenienti dagli Usa, ha stabilito che nessuna compagnia aerea cinese potrà fare scalo in territorio statunitense. Le controversie economiche tra le due superpotenze sono iniziate più di due anni fa, intervallate da brevi periodi di distensione. Dopo la tregua di gennaio 2020, la tensione si è riaccesa durante l’emergenza Covid-19: Donald Trump accusa Pechino di aver sottovalutato la pericolosità del nuovo coronavirus e di aver contribuito, in questo modo, alla sua diffusione. Xi Jinping, anche dopo le rivelazioni dell’agenzia di stampa Associated Press, continua a negare di aver nascosto all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dati importanti sulla pandemia.

Il blocco cinese – La decisione della Cina di frenare l’importazione di soia e maiale fa parte, sostengono i critici, di una strategia ben precisa: Pechino vorrebbe sfruttare la crisi economica per imporsi definitivamente sul mercato mondiale. Secondo quanto riportano Reuters e Bloomberg, il governo di Xi Jinping ha ordinato a due colossi agricoli di Stato di fermare l’acquisto di alcune derrate americane. Soia e maiale, insieme ad altri prodotti agricoli, rappresentano una parte consistente dei prodotti che annualmente la Cina acquista dalle aziende Usa. A gennaio Pechino aveva firmato un accordo con Trump per riaprire i flussi commerciali con Washington. La Cina si era impegnata a importare nell’arco di due anni 200 miliardi di dollari di beni made in Usa. Ma adesso sembra che Xi Jinping non sia più intenzionato a rispettare i patti.

Le accuse di Trump – La decisione è arrivata dopo diverse dichiarazioni di Donald Trump. Il presidente americano, minacciando ritorsioni, si è schierato apertamente contro la legge sulla sicurezza nazionale che la Cina sta imponendo a Hong Kong per reprimere le proteste di una parte degli abitanti della ex colonia britannica. Ma già nelle settimane precedenti aveva criticato il governo cinese per la gestione dell’emergenza Covid-19, chiedendo a Xi Jinping di assumersi le sue responsabilità. Le accuse di Trump a Pechino appaiono avvalorate dall’inchiesta dell’Associated press, che ha rivelato un certo ritardo da parte del governo cinese nell’informare l’Oms sulla diffusione del nuovo coronavirus.  «Non so da dove vengano questi documenti interni, ma le storie collegate sono del tutto inconsistenti rispetto ai fatti», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, ribadendo nuovamente l’innocenza dell’amministrazione cinese.

La guerra aerea – Al blocco delle importazioni, Washington ha risposto con la chiusura degli aeroporti americani alle compagnie cinesi: dal 16 giugno in poi nessun volo da o per Pechino potrà arrivare o partire dagli Stati Uniti. Le comunicazioni aeree tra i due Paesi erano già state parzialmente interrotte durante l’emergenza Covid-19. Il provvedimento della Casa Bianca arriva dopo il “no” di Pechino alla riapertura dei voli statunitensi in territorio cinese. «L’amministrazione Usa continuerà a coinvolgere le nostre controparti cinesi in modo che sia le compagnie aeree statunitensi che quelle cinesi possano esercitare pienamente i loro diritti bilaterali. Nel frattempo, permetteremo ai vettori cinesi di operare lo stesso numero di voli passeggeri di linea che il governo cinese permette ai nostri», ha dichiarato il ministero dei Trasporti americano.

I dazi – La guerra commerciale era iniziata nel 2018. A marzo di quell’anno Trump aveva annunciato di voler imporre il 25% di tariffe sulle importazioni di acciaio e il 10% su quelle di alluminio. L’obiettivo era ridurre l’enorme deficit commerciale degli Stati Uniti. La nuova strategia imposta dalla Casa Bianca colpiva direttamente la Cina, che è il primo produttore mondiale di alluminio e acciaio. A stretto giro di posta è arrivata la replica di Pechino, che ha preparato una lista contenente 128 prodotti statunitensi su cui imporre dazi doganali tra il 15% e il 25%. Da quel momento si sono susseguiti diversi tentativi di riconciliazione.

Huawei  e la “Fase uno” – A maggio del 2018 i due Paesi avevano annunciato una bozza di accordo in base alla quale la Cina accettava di ridurre il suo surplus commerciale offrendosi, tra l’altro, di acquistare più beni Usa. Ma pochi giorni dopo Washington aveva posto fine alla tregua impedendo alle aziende americane di utilizzare le apparecchiature di telecomunicazione straniere, ritenute un rischio per la sicurezza: una chiara dichiarazione di guerra al colosso cinese Huawei. L’ultimo tentativo di mediazione si è avuto a gennaio 2020 quando, in cambio di un congelamento degli aumenti tariffari del 5% su 250 miliardi di beni cinesi, Pechino ha promesso di acquistare 200 miliardi di beni americani.  «Siamo arrivati alla fase uno di un accordo sostanzioso», ha dichiarato Trump al termine dei negoziati con il vice presidente Liu He. Ora bisognerà ricominciare daccapo.