Secondo l’ultimo report di Confcommercio, nell’ultimo decennio in Italia sono ‘sparite’ quasi 100mila attività di vendita al dettaglio e oltre 16mila imprese di commercio ambulante. Lo studio si concentra sulle prime 120 città italiane, di cui 110 capoluoghi di provincia e 10 comuni non capoluoghi di media dimensione, sottolineando che le aree urbane più colpite dalla crisi sono i centri storici, dove cresce sempre di più l’offerta turistica e diminuisce la densità commerciale.

 

Alloggio e ristorazione in crescita, calano negozi tradizionali-  A fine 2022, è stato stimato che le imprese di commercio al dettaglio, ambulanti e di alloggio e ristorazione in Italia siano circa 884mila. Dal 2012, nei maggiori centri italiani la densità commerciale si è ridotta del 20%: nell’ultimo decennio si è passati infatti da 9 a 7,3 negozi per ogni 1.000 abitanti. Il tessuto commerciale si orienta verso una crescita sostanziale nelle attività di alloggio e ristorazione, che sono aumentate di 10.300 unità. Lo sviluppo del settore dell’ospitalità è un fenomeno che registra cambiamenti importanti: nel confronto tra città del centro-nord e del sud, emerge una maggiore vivacità commerciale nel Mezzogiorno, dove le forme alternative di alloggio come Bed & Breakfast e affitti turistici hanno generato un cambiamento importante ( a sud la crescita di esercizi non alberghieri è del 13% nei centri storici e del 10,3% nelle aree circostanti).
Rispetto al 2012, si attesta che nei centri storici chiudano più negozi che nelle periferie (con un calo del -19,4% contro -17,5% ), generando un sostanziale cambio di fisionomia del parterre commerciale: vanno via via sparendo le attività tradizionali di vendita al dettaglio di libri e giocattoli (-31,5%), Mobili e ferramenta (-30,5%), vestiario e calzature (-21,8%). Aumentano invece i servizi, specialmente quelli legati all’ alloggio(+43,3%), le farmacie(12,6%), i negozi di elettronica di consumo (+10,8) e i ristoranti (4,0%).

Mariano Bella, direttore dell’ Ufficio Studi di Confcommercio (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

“Complessivamente, la doppia crisi pandemica ed energetica sembra avere enfatizzato i trend di riduzione della densità commerciale già presenti prima di tali shock. L’entità del fenomeno non può che destare preoccupazione“, afferma il direttore dell’Ufficio Studi Confcommercio Mariano Bella. Secondo l’economista, inoltre, l’aumento degli acquisti su web, quasi triplicati negli ultimi 7 anni, è uno degli elementi più rilevanti nella riduzione del numero dei negozi: le vendite online sono infatti passate da 16,6 miliardi nel 2015 a 48,1miliardi nel 2022. L’omnicanalità diventa dunque un fattore fondamentale per le imprese, che devono puntare a una maggiore innovazione e ridefinizione dell’offerta.
Nel periodo preso in analisi, infine, si riducono le imprese italiane e aumentano quelle gestite da titolari stranieri (2012: 1,4 milioni vs 166mila, 2022: 1,3 milioni vs 210mila).

Istat, fiducia consumatori nelle imprese nonostante calo del commercio – Anche di fronte alla crisi, comunque, a febbraio 2023 si stima un aumento dell’indice del clima di fiducia dei consumatori . Lo rivela Istat nella sua indagine, affermando che la fiducia dei consumatori è tornata ad aumentare dopo la diminuzione di gennaio. La crescita secondo l’istituto di statistica «è dovuta ad un’evoluzione positiva delle opinioni sulla situazione economica generale, ad un aumento delle aspettative sulla situazione economica familiare e a valutazioni in miglioramento sia sull’opportunità di effettuare acquisti nella fase attuale sia sulla possibilità di risparmiare in futuro».


Il calcolo- L’indicatore misura la fiducia degli individui, presi a campione, basandosi sulla spesa che singoli e famiglie svolgono durante il mese in relazione a investimenti, spese correnti. I quattro parametri coinvolti nell’indagine sono clima economico, clima personale, clima corrente e clima futuro. La fiducia del consumatore viene calcolata sulla base 2005 (il campione)=100 e l’elemento che ne spiega l’andamento è il paragone con i mesi precedenti.