Paese di pizza, mandolino e tasse. Uno studio pubblicato a fine maggio da Confesercenti descrive il nostro Paese come la terra del fisco. L’associazione di categoria, che riunisce le piccole e medie imprese italiane, ha calcolato quanto pesano le imposte su imprese, famiglie e consumo. Facendo anche un po’ di storiografia. Se nel 1990 bastavano 139 giorni lavorativi per pagare le tasse, nel 2012 ne sono serviti 162. Venti giorni in più per festeggiare il cosiddetto tax freedom day, posticipato da maggio a giugno. «L’abbassamento della pressione fiscale è più che mai una priorità. Le risorse vanno trovate tagliando la spesa pubblica. Gli sprechi, le spese inutili e i troppi livelli istituzionali producono uno sperpero enorme di denaro pubblico», attacca l’associazione.
Marco Venturi, riconfermato alla presidenza di Confesercenti il 19 giugno, polemizza con le misure che tirano la coperta da una parte e la tolgono dall’altra. «Non possiamo accettare una manovra che abbassi l’Irpef e alzi l’Iva, che abolisca l’Imu e aumenti la Tares o viceversa. Abbiamo bisogno di una vera riforma che riduca la pressione fiscale e valorizzi le imprese e il lavoro rispetto alle rendite ed ai patrimoni», ha detto Venturi in assemblea.
La pressione fiscale, che nel 2012 è stata del 44 per cento, dovrebbe salire ancora, arrivando al 44,4 nel 2013. Ad aumentare sarebbe soprattutto il prelievo sui soggetti Irpef (persone fisiche e Pmi a base personale), per effetto degli aumenti di addizionale decisi da Regioni e Comuni, 205 euro in più a carico del contribuente medio a fine 2013 rispetto a sei anni prima.
È proprio la finanza locale ad essere al centro dello studio di Confesercenti. «Per effetto del federalismo, i sono registrate abnormi impennate del prelievo. Se nel 1990 le imposte locali assorbivano l’equivalente di meno di 8 giorni di lavoro annuale, nel 2002 l’impegno risultava triplicato e nel 2013 finirà per toccare i 26 giorni». Quattro volte tanto.
A certificare il peso delle tasse sui salari italiani è anche uno studio Ocse, che mette l’Italia al sesto posto della classifica. Un lavoratore single e senza figli paga sul suo salario il 47,6 per cento di tasse, quasi dieci punti in più di un collega danese. Una famiglia monoreddito e con due figli versa al fisco il 38,8 per cento, sempre più dei danesi, ma meno dei francesi (43.1%). L’efficienza della pubblica amministrazione, invece, è ai livelli più bassi, con un valore (0,4) pari a un quarto di quello misurato per la Germania e il Regno Unito.
Anche per il ministro all’Economia, Fabrizio Saccomanni, la riduzione del cuneo fiscale è una priorità del governo. «Dobbiamo ridurre le tasse sulle aziende e sul lavoro: le risorse le dobbiamo trovare tagliando le spese, i sussidi e gli incentivi, in passato dati troppo generosamente», ha detto il ministro durante un vertice d’inizio giugno.
Le conseguenze della situazione fiscale coinvolge Pil, reddito familiare e occupazione. Sempre secondo Confesercenti, il Pil subirebbe un’ulteriore caduta per circa 20 miliardi, portando a 126 miliardi la perdita accumulata dal 2008. Giù anche i consumi, con una flessione attesa per il 2013 di 60 miliardi. Gli oltre 145 miliardi di consumi volatilizzati negli ultimi sei anni indicano una contrazione di spesa di 6000 euro annuali a famiglia.
Susanna Combusti