A distanza di 8 anni dalla crisi finanziaria del 2012, si torna a parlare di Eurobond. In vista del Consiglio europeo del 26 marzo, nove leader europei, tra cui il premier Giuseppe Conte, hanno firmato e inviato una lettera a Bruxelles per chiedere l’emissione di titoli di stato europei garantii da tutti gli stati membri. Le obbligazioni servirebbero a fronteggiare i danni, ingenti secondo l’agenzia di rating Moody’s, provocati dalla diffusione del Covid-19. Da qui il nome “Coronabond“. A questa possibilità si oppongono i Paesi del Nord, guidati dagli olandesi
La lettera – La richiesta di Conte è stata condivisa da Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio e Lussemburgo. I capi di Stato e di governo nella lettera inviata al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, chiedono «di lavorare su uno strumento comune di debito, emesso da una istituzione europea, per raccogliere fondi sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati membri». Soltanto in questo modo, secondo i nove leader, si potrà garantire un finanziamento stabile e di lungo periodo. «Le misure straordinarie che stiamo adottando per contenere il virus – scrivono Conte e i suoi colleghi – hanno ricadute negative sulle nostre economie nel breve termine. Abbiamo pertanto bisogno di intraprendere azioni straordinarie che limitino i danni economici e ci preparino a compiere i passi successivi. Questa crisi globale richiede una risposta coordinata a livello europeo».
Cosa sono – Gli Eurobond (o come sono stati chiamati in questo caso “Coronabond”) sono obbligazioni comuni: non verrebbero messe sul mercato da un singolo Stato ma dall’Unione Europea nel suo insieme. In questo modo si arriverebbe a unificare il debito dei Paesi. I titoli potrebbero essere emessi da un’istituzione europea. A occuparsene non potrebbe essere la Banca centrale europea (Bce) che per statuto può intervenire soltanto sul “mercato secondario”, dove agiscono i vari investitori. In questo caso specifico, la proposta dei nove leader europei prevederebbe il coinvolgimento della Banca europea degli investimenti (Bei). Istituto nato per finanziare i Paesi membri dell’Ue, la Bei potrebbe emettere direttamente i titoli sul mercato o fare da garante nel caso in cui siano gli Stati a interloquire con gli investitori.
A cosa servirebbero – I Coronabond aiuterebbero i governi a trovare le risorse economiche per far fronte a varie spese. Innanzitutto, quelle sanitarie: finanziare gli ospedali, retribuire i medici, acquistare macchinari per la terapia intensiva e gli strumenti di protezione contro il contagio, come le mascherine o i guanti. Inoltre, le obbligazioni comuni permetterebbero ai Paesi di attuare politiche strutturate per rimettere in sesto le attività produttive.
Le criticità – I problemi relativi all’istituzione di un meccanismo finanziario di questo tipo sono principalmente due. Il primo riguarda la famosa (o famigerata) “unione fiscale europea”: emettere titoli comuni implicherebbe anche una comunione fiscale, che attualmente non esiste. Il secondo problema, emerso anche nel 2012 quando si pensò agli Eurobond per fronteggiare la crisi economica, è l’ostilità degli Stati più virtuosi, come la Germania o l’Olanda, che non vogliono indebitarsi con chi ha i conti più in disordine,
I contrari – Nelle riunioni con i ministri delle Finanze dei governi europei, i Paesi del Nord hanno sostenuto ripetutamente che il maxi-piano di acquisto dei titoli annunciato dalla Banca centrale europea (750 miliardi nel 2020) sia più che sufficiente per fronteggiare la pandemia. Hanno quindi scartato l’ipotesi di poter utilizzare gli eurobond e condividere i rischi della crisi economica con gli altri Stati dell’Ue. La consguenza di questo atteggiemento, temono molti osservatori, potrebbe essere un ulteriore disamore di molti popoli d’Europa nei confronti di un’ Unione sorda alle esigenze dei più deboli. Un disamore che potrebbe mettere a rischio l’esistenza stessa delle istituzioni continentali.
Draghi – Per adesso, quindi, non si sa se e come verranno utilizzate le obbligazioni comuni. L’unica certezza è che bisogna trovare un punto di incontro in fretta o la situazione peggiorerà. In un lungo editoriale sul Financial Times, Mario Draghi, che in molti vedono come possibile futuro inquilino di palazzo Chigi, ha invocato misure forti da parte dell’Unione Europea per contrastare la recessione. Per l’ex presidente della Bce il debito pubblico è l’unica leva che i governi hanno per gestire questa guerra. La priorità deve essere quella di proteggere la popolazione e di evitare che vengano persi posti di lavoro: si deve agire subito, senza remore. «Livelli più elevati di debito pubblico – scrive Draghi – diventeranno una caratteristica economica e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato».
Il giudizio di Moody’s – Per l’agenzia di rating americana se non si agirà correttamente, si andrà incontro a una grave recessione: il Coronavirus è uno tsunami che potrebbe travolgere l’economia globale. Nel rapporto “Covid-19: Global EconomicTsunami”, Moody’s stima che il Pil dell’Eurozona subirà nel 2020 un calo complessivo del 2,7 per cento. A gennaio era prevista una crescita dell’1,3 per cento. Secondo l’agenzia di rating, negli Usa, a causa di una gestione carente per ora carente, il virus potrà fare anche più danni che in Italia.