Le battaglie commerciali in piena emergenza Coronavirus non riguardano solo mascherine, camici e apparecchiature mediche. Anche l’import-export globale di materie prime agricole rischia di risentire di una crisi sanitaria che ha reso più difficile lo spostamento delle merci. Il campanello d’allarme arriva dall’aumento delle quotazioni di beni come i cereali. Un rialzo arrivato in parallelo con le scelte protezionistiche di alcuni grandi esportatori mondiali. Elementi che lasciano intravvedere segnali di nervosismo in questo clima di incertezza.

La mossa della Russia – Molti Paesi hanno infatti deciso di bloccare o tagliare l’uscita di prodotti agricoli verso l’estero. Altri stanno valutando di andare in questa direzione. Uno di questi è la Russia, il maggior esportatore di grano del pianeta. Il ministero dell’Agricoltura di Mosca, per evitare carenze in tempi di coronavirus, ha proposto un tetto di 7 milioni di tonnellate per l’export di cereali tra aprile e giugno. Una mossa presentata dopo che le quotazioni del grano avevano raggiunto i 13.270 rubli per tonnellata, superando addirittura il valore del petrolio degli Urali, sceso a 12.850 rubli per tonnellata.

Vietnam, stop al riso – Decisioni certe sono già arrivate invece dal Kazakistan, come ha rivelato un articolo di Bloomberg. L’ex paese sovietico ha bloccato le esportazioni di farina, carote, patate e zucchero. Il Vietnam ha temporaneamente sospeso i nuovi contratti di esportazione di riso, mentre le quotazioni in Thailandia sono salite ai massimi dall’agosto 2013. E anche il prezzo della soia ha subito un rialzo.

Il prezzo del grano sfiora il 6% – Per la precisione, nell’ultima settimana di marzo, le contrattazioni sul legume, tra i più coltivati nel mondo, sono cresciute del 2% alla borsa merci di Chicago. Ma è il prezzo del grano che ha avuto l’impennata più evidente: i contratti con consegna a maggio hanno registrato un aumento che ha sfiorato il 6% (+5,92%). In crescita anche il valore del mais (+0,66%), dell’avena (+1,39%) e della canola (+0,22%). Volano anche le quotazioni dell’olio di soia, che hanno guadagnato il 4,65%, e del riso (+5,07%).  Inoltre, i contratti future sul frumento sono saliti oltre il 5% questa settimana, e dell’8% negli ultimi 30 giorni. In generale, non si registravano rialzi del genere da oltre due mesi.

I timori per i consumatori – Segnali che andranno tenuti monitorati, ma che potrebbero indicare l’intenzione da parte dei Paesi coinvolti di fare scorte agricole in previsione di difficoltà future. Una strategia che, tuttavia, potrebbe innescare ripercussioni a catena ai danni dei grandi importatori e dei Paesi più a basso reddito. All’orizzonte c’è il pericolo di rincari per i consumatori che, in questo clima di incertezza, già stanno scegliendo derivati dei prodotti oggetto di questi provvedimenti. In Italia, ad esempio, gli acquisti di farina nell’ultimo mese sono raddoppiati (+99,5%), e sono saliti di molto anche quelli di riso bianco (+47,3%) e di pasta di semola (+41,9%).

«Non un bel segnale, ma la situazione è gestibile» – È comunque presto per vedere degli effetti concreti di queste strategie. «Sicuramente non è un bel segnale – commenta Pierantonio Cantoni dell’Associazione italiana commercio estero (Aice) -. Se a questo farà seguito altro potrebbe diventare problematico». Per Cantoni l’emergenza sanitaria ha innescato «un cambio di paradigma nel commercio internazionale». L’allarme vero potrebbe arrivare se più esportatori dello stesso bene scegliessero la via protezionistica. «Finché si tratta di un fornitore, benché importante, ma non unico, la cosa è gestibile attraverso il ricorso alla materia interna o ad altri fornitori». Più preoccupante sarebbe se più di un fornitore strategico chiudesse i rubinetti, soprattutto per un grande “trasformatore” di materie prime come l’Italia. «Penso che nemmeno il 30 per cento della pasta che mangiamo sia fatta con grano italiano – riflette ancora Cantoni – Immagino che il piccolo pastificio di Gragnano se la possa cavare con il grano locale. Se Barilla non riesce a importare il grano dalla Russia, è facile che non riesca a rifornire i supermercati».

«Normali le ripercussioni sui prezzi» – Il rischio di questi sviluppi è una carestia globale? «Una carestia direi di no – spiega Marco Barbetta, responsabile del Centro Studi della Confederazione italiana agricoltori (Cia) -, ma in questo clima di difficoltà tutti cercano di incentivare i consumi interni di prodotti propri». Inevitabile sarà dunque una crescita dei prezzi al consumo. «È chiaro – aggiunge Barbetta – che in una situazione del genere le ripercussioni sui prezzi ci saranno. In questo periodo la volatilità dei mercati sarà una cosa molto normale». Gli scambi commerciali, però, non si fermeranno: «In un clima di guerra è normale che tutti tendano a proteggersi di più per garantire prima di tutto le produzioni interne, e quindi la sostenibilità economiche delle imprese interne. Dopodiché il commercio non potrà fermarsi e non si fermerà».