Maggioranza contro opposizione, politici contro tecnici. Il Meccanismo europeo di stabilità fa litigare tutti. Il Mes (o in inglese Esm, European stability mechanism) è nell’occhio del ciclone per via della riforma discussa in questi giorni. Il leader della Lega Matteo Salvini parla dell’ennesima misura per «salvare le banche»tedesche con i risprami degli italiani e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dice: «No al sovranismo da operetta di Salvini e della Lega che, sul Salva-Stati, hanno alimentato “un delirio collettivo”». Il sistema, secondo alcuni, potrebbe mettere a rischio i risparmi degli italiani. Vediamolo nel dettaglio.
La crisi e la nascita del Mef – Nel maggio 2010, dopo la crisi dei mutui subprime negli Usa, c’è stata la forte difficoltà dei debiti sovrani in Europa. Fu creato il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf), un meccanismo temporaneo che serviva a garantire prestiti agli Stati dell’Eurozona in difficoltà. Nell’ottobre 2012 il Fesf venne sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità. Lo scopo è sempre quello di attingere da un fondo comune per aiutare uno Stato in crisi ma il meccanismo questa volta è permanente. Tra i principali strumenti del Mef per assolvere i suoi compoiti statutari ci sono: prestiti economici, dati in cambio dell’accettazione da parte del Paese aiutato di un programma di riforme concordato; acquisti di titoli di Stato sul mercato primario e secondario; linee di credito precauzionali. Ma con quali soldi? Il Mef può contare su un capitale teorico di oltre 700 miliardi di euro. Ogni stato dell’Eurozona contribuisce in proporzione al Pil. L’Italia, che ha già versato 14,33 miliardi di euro e ha messo la firma per altri 125,4 miliardi, è il terzo contribuente, dietro a Germania e Francia. Da quando il meccanismo è operativo, sono stati erogati prestiti per 254,5 miliardi di euro a cinque diversi Stati: Irlanda, Cipro, Portogallo, Spagna e Grecia, che ha beneficiato del fondo per tre volte.
Come cambia il Mes – Il dibattito sulla riforma alle regole del Mes inizia con il governo Conte I, sostenuto da Lega e M5s. Il 14 giugno, l’Eurogruppo, la riunione dei ministri delle Finanze dei 19 Stati Ue che hanno adottato l’euro, ha dato l’ok ad una bozza di riforma. L’obiettivo è quello di completare l’Unione bancaria degli Stati dell’Eurozona e di rafforzare l’Unione monetaria. La riforma dovrebbe entrare in vigore a dicembre 2019, se ci sarà l’approvazione unanime di tutti i 19 Stati membri, i cui Parlamenti dovranno ratificare il nuovo testo. In primo luogo si prevede che il Mes faccia da “backstop” rispetto al Fondo di risoluzione unico (Fsr), un fondo finanziato dalle banche dell’Eurozona che ha l’obiettivo di risolvere le crisi bancarie. In parole semplici, se il Fsr finisce i sodi, il Mes potrà prestare le risorse necessarie (fino a 55 miliardi di euro circa). Lo scopo è quello di scoraggiare fortemente la speculazione sugli istituti finanziari. La seconda novità è quella di un Mes dal ruolo più forte quando si tratterà di fornire programmi di assistenza agli Stati in difficoltà. La Commissione europea, che riunisce un tecnico indipendente dal governo per ogni Paese, non vedrà ridotto il suo ruolo: l’esecutivo comunitario dovrà però tener conto delle posizioni che esprimerà il Mes. Terza novità, viene rivisto l’insieme di strumenti che ha a disposizione il Mes per intervenire in soccorso di un Paese in difficoltà. Quarto punto, il Mes potrà fare da mediatore tra Stati e investitori privati qualora fosse necessaria la ristrutturazione di un debito pubblico. Quinto e ultimo aspetto, i titoli del debito pubblico dei Paesi dell’area euro dal 2022 dovranno avere non più una clausola di azione collettiva (Cac) a maggioranza doppia ma singola.
La novità più discussa – La terza novità è quella più discussa e che interessa di più l’Italia. Con l’attivazione del “backstop” verrà eliminata la possibilità per il Mes di ricapitalizzazioni dirette di istituti in difficoltà e, soprattutto, verranno modificate le condizioni di accesso alle linee di credito precauzionali previste. Ad oggi questi due strumenti, ricapitalizzazione diretta e linee di credito precauzionali, non sono mai state utilizzati. Le linee di credito precauzionali, in particolare, sono due: la Precautionary Conditioned Credit Line (Pccl) e la Enhanced Conditions Credit Line (Eccl). Sono due tipi di assistenza finanziaria concessi dal MES per evitare che crisi “piccole” possano degenerare in crisi più gravi. Prestando infatti denaro a uno Stato in difficoltà si dovrebbero tranquillizzare i mercati e scoraggiare le speculazioni. Le novità riguardano la Pccl. La misura viene concessa agli Stati che accettano determinate condizioni, fissate in un Memorandum d’intesa. La necessità di dover sottoscrivere un Memorandum d’intesa scoraggia gli Stati a chiedere questi prestiti, perchè la loro sovranità viene compressa non poco. È inoltre richiesta l’unanimità di tutti e 19 gli Stati del Mes per approvarlo. Con la riforma, si cancellerebbe la necessità del Memorandum d’intesa, facilitando quindi l’erogazione del prestito. Quello che però viene chiesto allo Stato che intende beneficiare della Pccl è il rispetto di alcuni requisiti prima dell’erogazione: nella versione riformata del Mes, in particolare, sarà necessario avere un debito non solo sostenibile ma inferiore al 60 % del Pil, o convergente verso quell’obiettivo con una riduzione di un ventesimo all’anno. Secondo la simulazione di Bruegel, 10 stati su 19 non passerebbero il “test”. In concreto però la situazione non sembra cambiare drasticamente: uno Stato con i conti non del tutto in ordine, come l’Italia, avrebbe forse avuto prima accesso alla Pccl ma avrebbe dovuto accettare un Memorandum d’intesa. Ora, visto che senza i conti del tutto in ordine non si può accedere alla Pccl, dovrebbe accedere alla Eccl, un programma comunque meno invasivo rispetto ai prestiti condizionati alle riforme erogati a Grecia, Irlanda, Cipro e Portogallo. La situazione non cambia radicalmente per il nostro Paese. Però, come spesso accade, l’annuncio della misura può avere conseguenza più nefaste della misura stessa, in termini di impatto sul mercato dei titoli.
Gualtieri: «Non avremo bisogno del Mes» – «L’Italia non ha avuto, non ha e non avrà bisogno dei prestiti Mes: il debito italiano è sostenibile, ha una dinamica sotto controllo anche grazie alla politica fiscale prudente e a sostegno della crescita che il paese porta avanti». Lo assicura il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Secondo il capo del dicastero, il Meccanismo «È un potente elemento di stabilizzazione dei mercati finanziari e una difesa contro possibili crisi e deve pertanto essere considerato come un nostro alleato, non come un nemico. Il dibattito di questi giorni su questo argomento è senza senso».
Visco: «Rischi enormi» – Critiche al progetto di riforma del Mes sono arrivate dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che ha avvertito sulla necessità di gestirlo “con attenzione” perché comporta potenzialmente “rischi enormi”. Parlando al seminario congiunto Omfif-Banca d’Italia il 15 novembre scorso, Visco ha avvertito che «I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio può portare». Fonti della Banca d’Italia precisano che il giudizio del governatore sul Mes non è contrario: «Il governatore Visco non ha espresso un giudizio sfavorevole sulla riforma del Mes, ha messo in guardia sui rischi di eventuali iniziative, in assenza di riforma complessiva della governance economica».