Continua a crollare il Bitcoin trascinando al ribasso tutte le altre criptovalute. Da una capitalizzazione stimata in circa 800 miliardi da inizio anno, il 18 gennaio il comparto delle valute digitali vale 480 miliardi di dollari. Lo scivolone degli ultimi giorni preoccupa i mercati: il Bitcoin, scambiato attualmente a poco più di 10 mila dollari, ha perso il 50% rispetto ai picchi registrati a metà dicembre. La stretta di Cina e Corea del Sud sulle criptovalute, la grande volatilità di questo mercato e la chiusura di alcune piattaforme di scambio sono tra le cause del crollo della moneta digitale. Alcuni investitori però provano a calmare le acque. Per loro la caduta potrebbe essere fisiologica: negli ultimi tre anni ogni gennaio si è verificato un calo cospicuo del valore dei Bitcoin.

Le cause – Il mercato risente della stretta imposta dalla Cina: il governo ha chiuso gli exchange che operavano a livello locale per mancanza di trasparenza. E’ intervenuta anche la Banca centrale cinese, che da settembre ha dichiarato illegali tutte le raccolte fondi da parte di imprese e aziende avvenute con i Bitcoin. Gli effetti negativi continuano tuttora poiché le indagini della Bank of China proseguono e, in accordo col Governo, si impone il rimborso in yuan (la valuta reale) di tutti i capitali “digitali” ricevuti. Segnali negativi arrivano anche dalla Corea del Sud, terzo mercato mondiale per scambi in valute digitali: il governo si appresta a regolamentare il settore e a rendere obbligatoria l’identificazione degli investitori. Il timore diffuso è che le criptovalute, di per sé allergiche a regolamentazioni e centralizzazione, possano perdere i vantaggi attuali e smettere di essere utilizzate. Intanto Bitconnect, piattaforma di scambio abbastanza conosciuta anche in Italia, ha chiuso senza preavviso «a causa di una continua campagna negativa della stampa, attacchi dalle autorità finanziarie statunitensi e per problemi di cybersecurity», hanno comunicato. Non conoscendosi i nomi di gestori o proprietari, gli utenti che hanno scambiato criptovalute sul loro sito non sanno se riceveranno mai un rimborso.

Non solo Bitcoin – Oltre alla più celebre tra le criptovalute, il ribasso colpisce anche le altre monete digitali: Ethereum, la seconda valuta per capitalizzazione, sabato 13 gennaio ha messo a segno il suo record a quota 1.420 dollari e oggi è crollato a 900 dollari, con una perdita del 40% in neanche cinque giorni. Va peggio la terza criptovaluta per volume: Ripple, che il 4 gennaio aveva addirittura superato Ethereum per capitalizzazione, oggi vale poco più di un dollaro, con un crollo di oltre il 70% in due settimane.

Le rassicurazioni – Il mercato delle criptovalute, per motivi che nemmeno le borse istituzionali riescono a spiegare, ogni gennaio attraversa un crollo. Nel 2015 i Bitcoin, durante il primo mese dell’anno, persero il 33%, nel 2016 il 16% e nel 2017 il 18%. Sempre intorno al 12 gennaio e sempre nel giro di poche ore. Quello di questi giorni, quindi, potrebbe anche essere un crollo in qualche modo “fisiologico”: ma sarebbe comunque molto più accentuato del solito e non ci sono state mai così tante ingerenze del panorama politico internazionale nel settore come negli ultimi mesi. Il tema criptovalute sarà persino dibattuto al G20 del prossimo marzo.

Il problema energetico – «In un anno le criptovalute immettono nell’atmosfera più CO2 di un milione di voli transatlantici: la dobbiamo ritenere una seria minaccia per l’ambiente», così ha scritto il quotidiano britannico Guardian mercoledì 17 gennaio. Perché i Bitcoin consumano così tanta energia elettrica? Si tratta di una sorta di competizione chiamata mining e che coinvolge migliaia di persone: in termini semplificati, chi spreca più elettricità possibile facendo eseguire milioni di operazioni aritmetiche a supercomputer, si aggiudica 12,5 Bitcoin, più di 100 mila dollari. La gara si ripete nei mercati di Bitcoin ogni dieci minuti. Insomma consumare più elettricità facendo lavorare i propri computer a risolvere operazioni matematiche e algoritmi impossibile aumenta le possibilità di vincita dei cosiddetti minatori di Bitcoin. Per quantificare l’elettricità necessaria per questa attività, basta pensare che la rete degli investitori di criptovalute ha consumato nel mese di novembre più energia di tutta l’Irlanda. In un anno si stima che questo mercato richiederà più energia elettrica del fabbisogno di stati come Nuova Zelanda, Ungheria e Perù.