Elusione fiscale, abuso di posizione dominante e multe milionarie. È una battaglia a colpi di sanzioni quella che si sta disputando tra le due sponde dell’oceano Atlantico. Da una parte la Commissione europea che sotto la direzione della commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager punisce le più importanti società americane per violazioni dell’Antitrust e ipotetici trattamenti fiscali di favore.
L’ultima, in ordine di tempo, è Apple. Che si aggiunge al lungo elenco in cui figurano Intel, Microsoft e Starbucks, e che probabilmente verranno raggiunte da grandi nomi dell’economia americana come Google, Amazon e McDonald’s. Dall’altra ci sono vari organi di controllo statunitensi, dal dipartimento di Giustizia all’Epa (l’agenzia per la protezione ambientale) che – per motivi diversi – hanno giudicato irregolare l’operato di colossi europei. Nel settembre del 2015 lo scandalo Volkswagen, poi chiamato Dieselgate. Un anno dopo le stangate a Deutsche Bank e al consorzio Airbus.
Le stoccate europee. Tasse inevase sui profitti ottenuti nel periodo dal 2003 al 2014 grazie a un sistema di aliquote vantaggiose concesse dal Paese in cui ha stabilito il suo quartier generale europeo. È questa l’accusa della Commissione europea a Apple, condannata a restituire all’Irlanda 13 miliardi di euro. Ma il colosso di Cupertino è solo l’ultima società americana ad essere stata sanzionata. Prima, a finire nel mirino delle autorità è stata Starbucks, che nell’ottobre del 2015 è stata multata per lo stesso motivo – cambiano i Paesi, Lussemburgo e Olanda – per una cifra tra i 20 e i 30 milioni di euro. Poi ancora Microsoft, che nel 2013 si è ritrovata un conto di 561 milioni di euro da saldare per violazione dell’Antitrust.
Stesse accuse a Intel quattro anni prima: abuso di posizione dominante nel mercato dei microprocessori, costato poco più di un miliardo. E nel 2014 è partita l’indagine sull’ammontare di tasse pagate da Amazon in Lussemburgo, mentre tanti sono stati i dossier aperti contro Mc Donald’s, l’ultimo dei quali annunciato nel dicembre 2015 per accordi con lo stesso Paese. Oltre ai problemi dovuti alla gestione della privacy degli utenti europei, Google dovrà probabilmente affrontare anche una sanzione per danneggiamento ai concorrenti. Cifra stimata: tre miliardi di euro.
Gli attacchi americani. Il Dieselgate è costato molto a Volkswagen in termini economici, ma anche di immagine. La maximulta da 14,7 miliardi di dollari è stata solo l’inizio. Da allora, la casa produttrice tedesca ha dovuto affrontare un calo nelle vendite e un danneggiamento alla reputazione da cui ancora sta cercando di riprendersi. Ma non è sola: dopo la punizione per false dichiarazioni sulle emissioni prodotte dalle automobili del gruppo di Wolfsburg da parte dell’Environmental Protection Agency statunitense, arrivano sanzioni anche a Deutsche Bank e Airbus.
La prima, dopo un’indagine del dipartimento di Giustizia sui titoli tossici venduti negli Usa, si è vista recapitare una richiesta di risarcimento da 14 miliardi. La seconda deve affrontare accuse – avallate dal Wto – per aver goduto di sussidi illeciti da parte dei Paesi che formano il consorzio da cui è nato il gigante dell’aeronautica. Esultano gli americani, e soprattutto Boeing, la sua diretta concorrente a livello mondiale.
Giudizio sospeso per il Ttip. Sullo sfondo di uno scontro sempre più accesso ci sono le difficili operazioni per firmare un trattato sul libero commercio tra America ed Europa. Più noto come Ttip (transatlantic trade and investment partnership). All’ultimo Consiglio dei ministri Ue di Bratislava, Francia e Austria si sono scagliati contro l’intesa per togliere i dazi doganali transatlantici, mentre altri Paesi insistono perché si trovi un accordo. Per il momento tutto fermo fino alle elezioni americane. I colloqui riprenderanno dopo l’8 novembre, in attesa che la Casa Bianca trovi il suo nuovo inquilino.
Cecilia Mussi
Michela Rovelli