Notizie poco incoraggianti sul fronte dazi. Il livello di fiducia dei consumatori americani è il più basso dai tempi della pandemia di Covid-19, secondo l’organizzazione Conference Board. E per Torsten Slok, capo economista di Apollo Management, la carenza di beni che gli Stati Uniti devono prepararsi ad affrontare sarà simile proprio a quella vissuta nei mesi dell’emergenza sanitaria.
La contrazione del Pil – «I dazi ci fanno arricchire», ha sentenziato Donald Trump nel comizio celebrativo dei primi 100 giorni del suo secondo mandato. Ma una smentita è arrivata nel pieno dei festeggiamenti: per la prima volta dal 2022 l’economia americana si contrae, con una riduzione del 0,3% del Pil nel primo trimestre del 2025. La causa è da ricercarsi nell’impennata delle importazioni, che segnano un +41%, per cercare di arginare l’effetto delle tariffe. A pesare sono soprattutto le misure del 145% imposte alla Cina (che ha risposto con dazi al 125% sui prodotti americani), unico paese non incluso nella pausa di 90 giorni concessa da Trump ai governi di 75 partner economici per negoziare un accordo commerciale con gli Usa. Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha definito l’attuale tensione con la Cina «non sostenibile» e ha aperto alla collaborazione con il paese asiatico, che si è detto «disponibile» ad avviare un dialogo con l’amministrazione statunitense. Ma se le borse hanno reagito positivamente a queste prove di disgelo, l’accordo ancora non c’è e ciò preoccupa le aziende che presto finiranno le scorte.
Gli scaffali vuoti – Il mancato raggiungimento di una tregua commerciale o, peggio, un ulteriore inasprimento delle tariffe farà sì che alcuni prodotti non potranno raggiungere gli scaffali dei grandi magazzini statunitensi e quindi nemmeno i loro consumatori. Secondo il Financial Times gli arrivi dalla Cina previsti per la settimana del 4 maggio sono di un terzo più bassi di quelli dello scorso anno. Le stime di Bloomberg vedono un crollo del 60% del traffico di merci tra Stati Uniti e Cina dall’inizio di aprile, cioè dal “Liberation Day” celebrato da Donald Trump. L’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) sostiene che questo calo potrebbe toccare anche l’80%. Già oggi le compagnie di navigazione hanno ridotto la loro capacità di trasporto di container dalla Cina del 40% rispetto ai primi giorni di aprile (dati di Huatai Futures) e il trasporto aereo verso gli Usa potrebbe calare del 90% secondo il settimanale Caixin. Per questo il 21 aprile Donald Trump ha ospitato alla Casa Bianca i leader di Target, Walmart e Home Depot: i tre hanno chiarito al presidente che le loro aziende, le tre principali nel settore di vendita al dettaglio del Paese, avranno bisogno di rifornire i propri magazzini tra la metà di maggio e l’inizio di giugno. E farlo in regime di guerra commerciale comporterebbe meno merci e prezzi più alti per gli acquirenti. Basti pensare alle scorte da avere entro l’estate per l’inizio dell’anno scolastico o in vista del Natale.
Gli acquisti online – A essere vuoti potrebbero non essere solo gli scaffali fisici, ma anche quelli digitali: dal 1 maggio non esistono più le esenzioni doganali cosiddette “de minimis”, cioè quelle applicate ai pacchi di valore inferiore agli 800 dollari. Gli americani che fanno shopping online negli ultimi anni hanno fatto molto affidamento su prodotti a piccoli prezzi venduti dall’estero, acquistando soprattutto da piattaforme e-commerce cinesi come Temu e Shein. La prima conta più di 185 milioni di utenti statunitensi attivi al mese, anno in cui ha spedito un milione di pacchi al giorno: per rispondere all’interruzione delle esenzioni minime, la piattaforma ha bloccato la vendita diretta di prodotti dalla Cina ai clienti americani. «Tutte le vendite negli Stati Uniti sono ora gestite da venditori locali, con gli ordini evasi all’interno del Paese. La decisione è pensata per aiutare i commercianti locali a raggiungere più clienti e far crescere le loro attività», ha dichiarato l’azienda cinese in una nota. Shein, 17 milioni di fruitori attivi mensili, ha invece annunciato prezzi più alti per chi compra dagli USA: in alcuni casi un cliente americano ha visto il costo di un prodotto aumentare del 377% rispetto agli altri paesi.