Donald Trump ha per l’ennesima volta cambiato idea. Ha deciso un rinvio dei dazi al 50% che lui stesso aveva annunciato nei confronti dell’Unione europea. Le misure sarebbero entrate in vigore dal prossimo 1 giugno, ma dopo una telefonata con la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, le parti hanno confermato una sospensione almeno fino al 9 luglio, in attesa di un accordo più duraturo.
L’annuncio – Venerdì scorso, 23 maggio, Trump aveva scosso l’Occidente con il solito post su Truth. Il tycoon aveva prima attaccato l’Unione europea, definendola un’istituzione «nata con lo scopo primario di sfruttare gli Stati Uniti sul commercio», per poi minacciare l’introduzione di dazi al 50% su tutti i prodotti dell’Unione a partire dal primo giugno. Un annuncio a cui hanno reagito male i mercati di entrambi i continenti coinvolti, “bruciando” in tutto 183 miliardi di euro. A quanto pare, almeno per le borse le uscite di Trump sono ancora credibili, nonostante i continui ripensamenti di The Donald. Anche l’annuncio di venerdì era arrivato nel mezzo di una tregua commerciale tra Usa e Ue concordata pochi giorni dopo il Liberation Day del 3 aprile.
Good call with @POTUS.
The EU and US share the world’s most consequential and close trade relationship.
Europe is ready to advance talks swiftly and decisively.
To reach a good deal, we would need the time until July 9.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 25, 2025
La sospensione – Domenica sera, 25 maggio, è arrivata puntuale la tregua. L’ha annunciata Von der Leyen con un post su X. «Buona telefonata con il presidente Trump – scrive – per raggiungere un buon accordo abbiamo bisogno del tempo necessario fino al 9 luglio». Le ha fatto seguito il presidente americano, confermando di aver accettato la richiesta di rinvio fatta dall’Unione europea. La mattina seguente, le borse europee hanno riaperto in rialzo. I mercati proseguono così la loro fisarmonica, in linea con la politica commerciale di Trump. Il tycoon, interrogato in merito da alcuni giornalisti americani, si è giustificato spiegando che i dazi servono a spingere l’industria interna. «Gli Stati Uniti non hanno bisogno del boom dell’industria tessile – ha detto – Vogliamo produrre carri armati, non t-shirt e sneakers».