L’immagine della donna che sorveglia il focolare domestico dovrebbe appartenere al passato. C’è però ancora una notevole quantità di donne italiane costrette a non lavorare per assistere famigliari e senza essere per questo pagate. Secondo i dati forniti dall’Organizzazione internazionale del Lavoro, in Italia nel 2023 il 21,6% delle professioniste dichiarano di essere uscite dal mercato del lavoro proprio per potersi occupare delle esigenze domestiche. Una percentuale in linea con la media europea e che peggiora in aree geografiche meno sviluppate (ad esempio, nell’Africa settentrionale si arriva al 63%). In termini assoluti, il rapporto dell’Oil rivela che a livello globale le attività di cora di cura non retribuite tengono 708 milioni di donne fuori dal mercato del lavoro.
Questa condizione grava soprattutto per le lavoratrici nella fascia tra i 25 e i 54 anni, nella fase di massima produttività e che coincide con l’aspirazione ad essere genitori: il 53,4% delle donne non lavorano più per assumersi maggiori responsabilità nelle faccende domestiche, per seguire la crescita dei figli, accudire anziani o famigliari disabili. Una fotografia dell’Italia in cui, secondo un rapporto Cnel-Istat, il tasso di occupazione femminile (53%) è il più basso tra i 27 paesi dell’Unione europea (69,3%). La soglia del 60% è stata raggiunta al Nord e al Centro, tranne nel Lazio, ma è ben al di sotto nel Sud. Dal 2008 al 2024 l’incremento del tasso di occupazione delle donne è stato di 6,4 punti. Ma questa crescita è marcata soprattutto tra le ultracinquantenni (20 punti percentuali), mentre tra le 25-34enni si ferma a 1,4 punti. Inoltre le donne occupate hanno condizioni contrattuali peggiori (dipendente a tempo determinato, part time involontario, ecc.) per circa un quarto dei casi, mentre tra gli uomini succede nel 13,8% dei casi. Il pay gender gap in Italia va, in base alla posizione lavorativa, da circa 3 mila a oltre 14 mila euro all’anno tra i due sessi.