Si continua a cercare una soluzione per mantenere in vita l’ex Ilva di Taranto. Si attende l’incontro tra il governo e Aditya Mittal, l’amministratore delegato di Arcelor in cui si cercherà di sciogliere il nodo sulle risorse finanziarie.

Stato in maggioranza – Non sarà presente la presidente del Consiglio Meloni, ma nel faccia a faccia con Aditya Mittal, amministratore delegato del gruppo indiano, ci saranno i tre ministri coinvolti: Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e Raffaele Fitto, per gli Affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr. L’ipotesi più concreta per scongiurare la liquidazione della più grande acciaieria d’Europa è l’aumento delle quote in mano dello Stato. Il socio pubblico di minoranza Invitalia salirebbe in maggioranza passando dal 38% al 60%, con la conversione in capitale dei 680 milioni erogati l’anno scorso grazie al decreto legge del 5 gennaio del 2023. Questa sarebbe la soluzione a cui si è arrivati nell’ultima riunione tra i soci di Acciaierie d’Italia, che gestisce gli stabilimenti ex Ilva. Passerebbe dunque in secondo piano ArcelorMittal, che al momento è azionista di maggioranza con il 62% delle quote.

Le alternative – La nazionalizzazione è l’ipotesi verso cui spingono anche i sindacati, nella speranza di evitare il ricorso all’amministrazione straordinaria. Alternativa che porterebbe a un ridimensionamento dell’acciaieria con conseguenze negative per i fornitori e l’intero indotto. Il segretario nazionale Ugl Metalmeccanici Antonio Spera, che definisce l’incontro di oggi una delle «più grandi e importanti partite per la siderurgia e per l’intera industria italiana», spera che ci sia una «svolta definitiva e che l’esecutivo dimostri di saper imprimere una concreta discontinuità rispetto al presente-passato». Nei mesi scorsi si è tentata la via della ricapitalizzazione con un’iniezione di denaro ripartita secondo le attuali quote, ma senza successo. Sulla possibilità di una guida a maggioranza statale si era già raggiunto un accordo nel dicembre del 2020 durante l’allora governo guidato da Giuseppe Conte. Un piano che era stato confermato anche durante il governo Draghi.

Produzione a rilento – Un programma che non si è ancora riusciti ad attuare, anche per la contrarietà alla maggioranza pubblica del ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, titolare del dossier ex Ilva. Ma la scadenza sembra ormai non essere più rimandabile. La produzione di acciaio nell’ex Ilva di Taranto continua a rallentare. Da dicembre solo uno dei quattro altiforni, i grandi impianti usati nelle acciaierie per produrre ghisa e acciaio a partire da minerali di ferro e carbone, è rimasto attivo. Nel 2023 l’acciaio prodotto nello stabilimento non raggiungerà i tre milioni di tonnellate, mentre negli anni precedenti la media era stata di 7 milioni di tonnellate. I sindacati hanno stimato che se si dovesse proseguire nel 2024 con un solo altiforno la produzione si aggirerebbe intorno agli 1,7 milioni di tonnellate di acciaio.

Le proteste – Continuano nel frattempo le proteste degli autotrasportatori dell’indotto ex Ilva che sollecitano un intervento del governo e chiedono il saldo immediato delle fatture arretrate. Ha dichiarato nei giorni scorsi l’associazione Casartigiani Taranto: «C’è una situazione di insostenibilità che va ormai chiarita e affrontata, altrimenti una serie di piccole imprese che esprimono diversi posti di lavoro rischieranno di finire gambe all’aria».