Il rischio che l’Ilva non abbia un futuro, nemmeno ragionando in tempi brevi, ha scatenato la rabbia dei lavoratori. Sul tavolo, la decarbonizzaione e le prospettive occupazionali. La protesta, partita il 19 novembre dagli stabilimenti di Genova e Novi Ligure, si è estesa il giorno successivo anche a Taranto, principale piazza di produzione del settore.“Vergogna, “vergogna” il grido unanime con cui i metalmeccanici hanno messo nel mirino governo e commissari. La richiesta dopo il confronto con l’esecutivo del 18 novembre: la revoca del progetto che potrebbe portare 6.000 dipendenti in cassa integrazione a partire da gennaio per due mesi. L’accusa dei sindacati ai vertici politici è di aver fatto ricorso a un piano di dismissione del siderurgico, senza certezze su cosa succederà a partire da marzo 2026. Palazzo Chigi, dall’altro lato, assicura di aver accolto «la principale richiesta» dei gruppi e che non ci sarà «un’estensione ulteriore della cassa integrazione», ma per altre 1550 persone «in alternativa saranno individuati adeguati percorsi di formazione, anche per coloro già in cig».

Le proteste dei lavoratori (foto Ansa)
La protesta – La mobilitazione in Puglia è accompagnata da uno sciopero di 24 ore, proclamato da Fim, Fiom, Uilm e Usb, che non escludono il prolungarsi della protesta oltre la singola giornata. La statale Appia è stata bloccata, con disagi alla circolazione e code in entrambi i sensi di marcia. Nel frattempo, continua anche la contestazione a Genova e Novi Ligure, dove si lavora l’acciaio grezzo proveniente da Taranto e si trovano impianti a forte rischio chiusura. Già da mercoledì i dipendenti – con l’incognita del licenziamento – hanno occupato gli stabilimenti e poi si sono mossi in corteo verso la stazione ferroviaria di Genova Cornigliano, piazzando un gazebo e trascorrendo la notte in strada. «Rimarremo qui finché non arriveranno risposte dal governo, abbiamo vissuto molte situazioni drammatiche ma non eravamo mai scesi così in basso», hanno annunciato.
La voce dei sindacati – «Il lavoro fatto dal ministro Urso sta portando l’Ilva alla chiusura – ha dichiarato il segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri riferendosi al ministro delle Imprese e del Made in Italy, a margine del consiglio confederale regionale di Uil Piemonte –. Le proposte che noi abbiamo fatto sono sul tavolo. Quando si dice di utilizzare la formazione, chiediamo: la formazione per fare cosa, per smontare l’Ilva o fare l’acciaio? Questo non è chiaro». A fargli eco anche la segretaria generale della Cisl Daniela Fumarola: «Credo che la situazione sia sotto gli occhi di tutti. C’è poca chiarezza e noi abbiamo bisogno, invece, di avere ben chiari i contorni dell’azione che si è messa in campo – ha sottolineato –. Non possiamo assolutamente permetterci un’ulteriore cassa integrazione, né di chiudere gli stabilimenti. Pensiamo che sia necessario tutelare il lavoro e nel farlo bisogna proteggere assolutamente la filiera dell’acciaio e la produzione che al nostro Paese serve».
La riunione del 28 novembre – I sindacati, come riferisce Il Manifesto, chiedono di rispolverare il progetto dei quattro forni elettrici e tre impianti Dri (direct reduced iron, alternativa ecologica ai macchinari convenzionali) e, in questo caso, «con senso di responsabilità» sarebbero pronti a trattare. Intanto, proprio su richiesta delle organizzazioni sindacali, il ministro Urso ha convocato per venerdì 28 novembre un incontro sul futuro degli stabilimenti del nord Italia dell’ex Ilva con i rappresentanti dei lavoratori e dei settori interessati. La riunione riguarderà i siti di Genova-Cornigliano (Liguria) e Novi Ligure e Racconigi (Piemonte), «con l’obiettivo di aggiornare le parti anche alla luce del piano di manutenzione degli impianti e di formazione dei lavoratori presentato dai commissari nel corso dell’ultima riunione del tavolo Ilva a Palazzo Chigi».




