“Dopo l’annuncio della definitiva acquisizione di Chrysler e anche alla luce delle ultime dichiarazioni di Sergio Marchionne, ci sono molte più prospettive di prima. C’è da augurarsi nuovi investimenti del gruppo in Italia”. Con queste parole Valerio Castronovo, professore di storia ed esperto di economia industriale, ha avanzato la sua previsione, mista a una vera e propria speranza, sugli scenari futuri di Fiat nel nostro Paese. Ad oggi, in Italia, si produce circa il 30 per cento delle auto del gruppo.
L’abbandono della cosiddetta fascia bassa del mass-market, quella delle vetture di bassa gamma dove le possibilità di guadagno sono poche e la concorrenza spietata, è stato annunciato dal manager italo-canadese. Castronovo vede come inevitabile questa scelta: “Il mercato europeo in questo segmento è saturo. Occorre produrre modelli di media e alta gamma dove ci sono più valore aggiunto e di conseguenza più margini. Occorre puntare insomma al settore definito Premium“. Il rilancio dello storico marchio Alfa Romeo e la promozione di Maserati su scala globale, sfruttando d’ora in avanti anche la rete commerciale Chrysler, vanno proprio in questa direzione. Senza dimenticare il ramo Suv e Jeep, uno dei punti forti di Chrylser che la nuova realtà italo-americana potrà sfruttare.
Ora che il gruppo Fiat-Chrysler è un colosso globale, rappresentando il settimo gruppo al mondo, la partita si gioca su nuovi tavoli: “Si pensi ai Paesi emergenti dove crescono le classi medie. La scelta di una vettura di gamma medio-alta è una tendenza, quasi una moda, che apre nuove prospettive”. Se la presenza di Fiat in Brasile è già consolidata, l’obiettivo palese ma non dichiarato è la Cina: “I 300 milioni di cinesi che costituiscono l’ossatura burocratica e amministrativa dello Stato sono il target di ogni grosso produttore”, osserva il professor Castronovo. E se i tedeschi di Volkswagen sono stati abili nel conquistare le prime fette di mercato, non è esclusa una joint-venture di Fiat-Chrysler con un gruppo francese: “Già in passato Fiat ha stretto alleanze con Citroen, per esempio nel settore dei furgoni. Per la conquista della Cina il partner giusto potrebbe essere Peugeot. Questo rafforzerebbe anche gli stabilimenti torinesi e tutto l’indotto”.
Quel che sembra certo è che il centro direzionale del gruppo si allontanerà dal’Italia. Castronovo non si fa illusioni: “La testa, la regia, dovrebbe traslocare negli Usa”. E se la testa si allontana, anche le braccia vedranno il loro futuro dipendere sempre più da un insieme di condizioni esterne. Gli stabilimenti italiani rimasti, e che ad esclusione di Melfi ancora usufruiscono degli ammortizzatori sociali (Mirafiori, Cassino e Pomigliano) vedranno così il loro destino legato soprattutto alle condizioni del mercato. Se ormai il vecchio piano di Marchionne per il nostro Paese, “Fabbrica Italia”, è stato messo nel cassetto, il futuro sarà determinato più che mai alla scommessa totale di Fiat-Chrysler: “Finito il periodo di assestamento, Fiat dovrà essere abile nel giocare le sue carte nel grande gioco mondiale del settore auto”, nota Castronovo. Sperando di avere la mano, e le macchine, vincenti. Per il gruppo e, di riflesso, per i 60mila dipendenti italiani.
Federico Thoman