ubsEnrico Letta è determinato a far rientrare “un tesoretto di soldi italiani” nascosto nelle banche elvetiche. Stavolta, però, l’Italia vuole accantonare il modello di uno scudo fiscale e restare in linea con gli standard della trasparenza imposti dall’Ue e dall’Ocse. Il vertice di fine gennaio tra il premier italiano e il presidente svizzero Didier Burkhalter a Berna sarà una tappa decisiva per la firma del trattato di assistenza amministrativa fiscale tra l’Italia e la Svizzera. Permetterà uno scambio di dati sui contribuenti italiani che hanno depositato soldi in Svizzera. Prima che il segreto bancario – guardiano da anni dei patrimoni nascosti tra i Cantoni – sia cancellato dall’accordo, gli evasori avranno la possibilità di regolarizzare la propria posizione, perdendo però l’anonimato. Diversi invece sono gli accordi che Svizzera ha stipulato con Gran Bretagna e Austria: in cambio a un’imposta forfettaria garantiscono la privacy dei clienti delle banche svizzere.

Contrariamente allo schema scelto dai britannici e dagli austriaci, Letta, durante la sua missione svizzera, punterà sulla cosiddetta voluntary disclosure. I titolari dei conti bancari in Svizzera, secondo le anticipazioni del Sole24Ore, potranno mettersi in regola col fisco italiano, ottenendo uno sconto sulle sanzioni e la neutralizzazione dei reati fiscali. L’unico reato che non verrà estinto è quello di frode fiscale, anche se le pene previste saranno ridotte fino alla metà. La scadenza per “approfittare” di queste attenuanti prima che cada la scure dello scambio automatico dei dati è il 2016. Paletto, questo, che verrà fissato dalla legge ad hoc sulla quale sta lavorando il ministero dell’Economia. L’Italia spera di incassare in questo modo 180 miliardi di euro. Cifra ben al di sopra di 25-30 miliardi che Silvio Berlusconi sperava di ottenere per il famoso rimborso dell’Imu, promesso da lui in campagna elettorale, tramite l’imposta una tantum sui depositi italiani nelle banche elvetiche, da concordare con la Svizzera secondo il patto “Rubik”.

Modello, quest’ultimo, che invece è stato posto alla base di accordi con la Svizzera entrati in vigore dal 1º gennaio del 2013 in Gran Bretagna e Austria. Mentre nel novembre del 2012 la Camera dei Lander tedesca non ha ratificato un’intesa simile alla quale si sono opposti l’Spd e i Verdi. Nel Regno Unito invece l’importo incassato finora grazie all’accordo si è rivelato assai deludente per il fisco britannico rispetto agli attesi 3,2 miliardi di sterline. Lo schema “Rubik” prevede sostanzialmente un’imposta liberatoria anonima sui capitali non dichiarati depositati in Svizzera. Piace molto ai banchieri elvetici soprattutto perché non infrange il tanto custodito segreto bancario fissato dal articolo 47 della legge federale svizzera del 1934. “Rubik può funzionare perché tassa i capitali sin qui non dichiarati pur mantenendo la tutela della privacy”, sostiene Patrick Odier, presidente dell’Associazione svizzera dei banchieri (Asb) che esclude la possibilità di scambio automatico di dati.

Svizzera però ha dovuto fare conti con la pressione dell’Europa, che secondo le stime della Commissione europea vede mancare dalle proprie casse circa 1000 miliardi di euro l’anno a causa della fuga dei capitali nelle banche elvetiche. Per uscire dalla “lista nera” nella quale Bruxelles ha incluso i paradisi fiscali, la Confederazioni elvetica ha finalmente aderito, nell’ottobre scorso, alla Convenzione Ocse sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale. Ciò permetterà a richiedere informazioni su contribuenti stranieri che detengono patrimoni nelle banche svizzere non soltanto più a magistrati, muniti di prove concrete di una frode fiscale, ma anche alle autorità per una verifica tributaria. Per ora niente scambio automatico di dati che sarà possibile soltanto dopo la firma di un accordo separato tra la Svizzera e i singoli Stati. L’accordo che Enrico Letta spera di portare a casa durante la sua prossima visita a Berna.

Anna Lesnevskaya