Alcuni dei ragazzi "incubati" in H-Farm

Investono in idee. Hanno la forza, e soprattutto il fiuto, di credere nell’innovazione. Scommettono i loro soldi nelle startup: embrioni di aziende fondate su un nuovo capitalismo ingenuo ma al tempo stesso creativo. Sono gli “Angeli”, gli imprenditori custodi dell’economia digitale italiana.

«Quando dispongo di almeno 30mila euro li investo subito in una startup. I giovani hanno bisogno di qualcuno che dia loro la possibilità di realizzare i propri progetti. In Italia nessuno lo fa». Maurizio Donadelli, 61 anni, fa parte degli “Angels”, un gruppo di trenta imprenditori che dal 2005 finanzia i progetti delle società che, secondo la definizione del Decreto Legge Crescita 2.0, «promuovono lo sviluppo di prodotti innovativi ad alto valore tecnologico».

Veneziano, Donadelli si è sempre occupato d’impresa. Negli anni ’80 ha cominciato con le cooperative venete, ma oggi è noto soprattutto per essere uno dei fondatori di Banca Etica, l’organizzazione che agevola il credito per le iniziative a carattere sociale. Otto anni fa, nella tenuta Ca’Tron, poco distante dalla sua casa nelle campagne di Treviso, è sorta H-Farm: il luogo in cui gli “Angels” finanziano lo sviluppo delle startup. In gergo questo spazio prende il nome di incubatore. In effetti H-Farm sta per “fattoria umana”, perché il concetto basilare è di coltivare le idee come un contadino fa con la sua terra.

È stato il primo incubatore in Italia. Il fondatore Riccardo Donadon ha poi allargato la struttura oltre i confini nazionali. Oggi H-Farm è presente anche a Londra, Seattle e Mumbai e può contare su un portafoglio da 13 milioni di euro. Da tre anni Donadelli è uno dei trenta soci. Ne fanno parte anche alcuni tra i principali gruppi bancari italiani come Unicredit e Intesa San Paolo: «In H-Farm ho investito molti soldi, ma mi sono fermato alle migliaia di euro. Ci sono anche quelli che sono andati oltre», sorride l’imprenditore.

Quello delle startup è diventato il business per gli uomini d’affari in cerca di investimenti rischiosi ma dal gurande potenziale. A marzo erano 307 nel registro della Camera di Commercio. Tre mesi dopo sono diventate 853. É un’impennata che ha incuriosito anche Donadelli: «Le startup sono come pulcini, hanno bisogno di maturare prima di diventare vere aziende. Il mio compito è mettere al servizio dei giovani i capitali e la mia esperienza, in modo che possano realizzare i loro sogni senza dipendere da nessuno».

A H-Farm ogni anno arrivano circa mille ragazzi. Non ci sono età: ai ventenni che si ispirano al mito di Steve Jobs si mischiano i quarantenni in cerca di una nuova vita. Ma solo dieci idee vengono accolte nel programma d’accelerazione d’impresa. Gli startupper selezionati ricevono un contributo iniziale di 30 mila euro e la consulenza di esperti del settore che rendono l’idea vendibile sul mercato.

Terminata l’incubazione arriva il momento decisivo: l’incontro con gli “Angels”, i primi veri finanziatori. Gli startupper espongono i loro progetti in quello che viene chiamato “pitch”: una presentazione di cinque minuti in cui l’obiettivo è mostrare le potenzialità della propria azienda, ma soprattutto incuriosire l’investitore: «Per colpirmi un’idea deve essere scalabile – afferma Donadelli –  cioè deve avere la prospettiva di realizzare profitti nel lungo periodo. La cosa più importante però è l’atteggiamento dei ragazzi. Devono mostrare entusiasmo e caparbietà».

Se interessati, gli “Angels” acquistano una percentuale delle quote societarie, versando in media dei contributi che vanno dai 20 ai 50mila euro. Con questa iniezione di liquidità le startup si legano in maniera indissolubile al proprio finanziatore: se l’azienda cresce aumenta il suo valore di mercato e di conseguenza il potenziale ricavo dell’investitore.

Ma Donadelli è un “Angelo” particolare. Negli ultimi tre anni ha finanziato quaranta startup, tutte con una caratteristica comune: la risoluzione dei problemi sociali. La sua sensibilità maturata con Banca Etica si è trasferita nel mondo digitale, «perché lo stesso Steve Jobs diceva che la tecnologia per essere utile deve incrociarsi con il sociale». Donadelli ha contribuito a creare cinquanta posti di lavoro, ma lui non si sente un mecenate né un manager interessato solo al profitto: «Sono un “Angelo” che ha capito l’importanza della tecnologia. Oggi davvero è possibile migliorare il mondo con uno smartphone e noi imprenditori dobbiamo aiutare la crescita di questo settore se vogliamo dare un senso ai nostri soldi. Questo è il motivo che mi spinge a partecipare al rischio dei ragazzi. Finora sono stato ripagato, non mi è mai capitata una delusione».

In totale Donadelli ha investito oltre 150mila euro nelle startup, una cifra che pochi sarebbero disposti a spendere per progetti innovativi. Tra tutte, una è il vero motivo d’orgoglio dell’imprenditore veneziano. Si chiama Henable ed è una startup che assiste i disabili tramite gli smartphone. Un progetto nato sei mesi fa, quando a H-Farm è arrivato Ferdinando Acerbi, ex atleta professionista costretto sulla sedia a rotelle per un incidente subacqueo, che l’ha paralizzato dalla vita in giù. A 47 anni, Ferdinando cercava un’altra possibilità. «Dalla mia vita da sportivo ho imparato che quando caschi lo fai sempre a un livello più alto. Non mi sono arreso alla mia disabilità e per questo mi sono prefissato di aiutare quelli con i miei stessi problemi», ricorda con un pizzico d’orgoglio.

All’inizio la sua idea era creare un’applicazione che facilitasse l’accesso dei disabili alle zone Ztl. Ma l’incontro con Donadelli ha cambiato tutto: «La nostra unione è stata quasi naturale, ci siamo intesi dopo aver scambiato poche parole». Oggi Henable è una piattaforma che sviluppa applicazioni raccogliendo le segnalazioni dei disabili. In questo modo è nato Easyway, un sistema che mappa il territorio e rivela le aree senza barriere architettoniche. Oppure HelpTalk, che aiuta i dislessici a comunicare. Ferdinando ha stretto una collaborazione con Vodafone per sviluppare altre applicazioni simili. L’accordo, 40mila euro, ha rappresentato la prima vera entrata della sua startup. Intanto, Henable dà lavoro a cinque persone, «tutte con contratto regolare, anche se al momento a tempo determinato». Se solo guarda indietro, Ferdinando vede la sua rinascita: «Ho realizzato tutto in sei mesi, ma l’aiuto degli “Angels” è stato indispensabile».

Non è la mancanza di lavoro, soprattutto quella giovanile, il motore che innesca la voglia di mettersi in proprio in campo digitale: «Le startup nascono perché è cambiato il modo di lavorare – dice Donadelli -, la crisi è marginale. La Rete offre possibilità che prima neanche potevamo immaginare. Nel calderone di idee e intuizioni possono davvero nascere rivoluzioni. Per questo è caldamente consigliato investire in una startup».

Maurizio Donadelli guarda le sue creature come un contadino assiste ogni volta meravigliato ai miracoli della terra. Semina idee e raccoglie progresso. Forse gli angeli, se davvero esistono, un giorno ne terranno conto.

Luigi Caputo