«E io pago!». Di nuovo. Nel 2017 i milioni dovuti al fisco italiano erano 306, oggi Sundar Pichai, amministratore delegato di Google dal 2015, ha staccato un assegno da 326 milioni di euro intestato ancora una volta all’Italia. Una cifra importante, quella dovuta dalla big tech a seguito di accertamenti da parte della Procura di Milano per quanto concerne il pagamento delle tasse nel periodo 2015-2019.
Durante le indagini, la Guardia di Finanza ha scoperto il mancato versamento delle tasse sui guadagni di tutte le «attività condotte in Italia». In particolare, i militari delle fiamme gialle hanno contestato alla società con sede in Irlanda, i ricavi delle pubblicità e dei servizi tecnologici che l’azienda fornisce sul territorio nazionale. «Una omissione – spiegano – del versamento delle tasse dovuta a una stabile organizzazione occulta costituita dai server e dall’infrastruttura tecnologica essenziale per il funzionamento per l’offerta di servizi digitali». In particolare si fa riferimento alle ritenute che non sono state applicate sulle royalties corrisposte alle società su cui si appoggiano per far funzionare la tecnologia di Google.
Si chiude dunque il contenzioso con il Fisco che, con questo risarcimento, esclude definitivamente il colosso della Silicon Valley dall’ipotesi di evasione fiscale. Nella nota del Pubblico Ministero si legge che «questa condotta non ha violato alcuna norma tributaria», e il procuratore capo Marcello Viola ha commentato che «le accuse rivolte all’azienda californiana si riferivano all’omessa presentazione delle dichiarazioni annuali dei redditi prodotti in Italia e all’omessa presentazione delle dichiarazioni annuali di sostituto d’imposta», in altre parole il j’accuse della procura meneghina, che ha già inviato al giudice per le indagini preliminari la richiesta di archiviazione, era rivolto solo all’elusione fiscale, ben lontana dall’evasione.
Con la firma dell’accordo di adesione all’atto di accertamento – che permette di regolarizzare le pendenze – la big di Mountain View esce dallo scontro con lo Stato italiano. A stappare le bottiglie è sicuramente l’Agenzia delle Entrate che si intasca un tesoretto non da poco: 265 milioni per le omesse ritenute sulle royalties e 60 milioni a titolo di Ires ed Irap, comprensivi di interessi e sanzioni.