«Il tempo sta finendo. Siamo 18 Paesi dell’euro contro uno». Quando il premier finlandese Alexander Stubb esce dalla riunione straordinaria dell’Eurogruppo sulla Grecia ormai è notte fonda. Le sue parole, però, descrivono plasticamente quanto è successo durante il summit: il governo di Atene e l’Ue restano sulle loro posizioni. L’accordo è lontano, tutto è rimandato a lunedì 16 febbraio, quando i leader Ue e il governo di Alexis Tsipras dovranno trovare un’intesa per evitare il default.
Se nemmeno il prossimo vertice dovesse andare a buon fine, l’ultimo giorno utile resta il 28 febbraio. Per quella data arriva a scadenza il programma di assistenza finanziaria approvato a febbraio del 2012 dall’Ue. Quando l’Ecofin, allora guidato dall’attuale presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, diede il via libera al secondo pacchetto di aiuti per un totale di 130 miliardi di euro.
Per il 16 febbraio Bruxelles attende una proposta dalla Grecia e si dice pronta ad accettarla a patto che Atene si «attenga a cambiamenti strutturali». Di fatto l’Ecofin ipotizza l’estensione del programma di salvataggio attualmente in vigore: una sorta di “prestito ponte” sul quale continuerebbe a vigilare il Fondo monetario internazionale. Ma da Atene fanno sapere di non essere disposti ad accettare accordi che non contengano “reciproci benefici” e che i negoziati continueranno: «Spero in una conclusione ottimale», ha detto secondo Bloomberg il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis.
Nella corsa contro il tempo per evitare il default, il rischio più imminente per la Grecia è una crisi di liquidità. Ovvero l’impossibilità per il governo ellenico di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici e garantire i servizi minimi: dalle scuole agli ospedali, dalle mense all’assistenza sanitaria gratuita. Uno scenario apocalittico che rappresenterebbe il primo passo verso il fallimento tecnico. A ciò si aggiunge anche l’ipotesi di una fuoriuscita dall’euro. In quel caso, oltre alla creazione di un precedente per il diritto comunitario (la Grecia sarebbe il primo Paese ad uscire dall’Ue) il rischio è un “caos legale”. «Qualunque cosa dicano i trattati, la realtà è che se la Grecia volesse andarsene potrebbe farlo», ha spiegato l’economista Malcolm Sweeting in un’intervista al Sole 24 Ore confermando che a quel punto il governo di Atene si troverebbe a gestire da sola anche la conversione in una nuova valuta dei contratti e dei debiti stipulati in euro.
Carmela Adinolfi