I dazi annunciati da Trump rischiano di penalizzare il Made in Italy, e di diffondere sugli scaffali statunitensi prodotti spacciati per italiani, ma che l’Italia non l’hanno vista neanche con il binocolo. Coldiretti ha evidenziato che «i dazi al 20% sui prodotti agroalimentari Made in Italy porteranno a un rincaro da 1,6 miliardi per i consumatori americani. Questo condurrà a un calo delle vendite che danneggerà le imprese italiane, incrementando il fenomeno dell'”italian sounding”, con la diffusione di prodotti “tarocchi“».
Nel 2024 l’export italiano negli Stati Uniti ha superato i 64 miliardi di euro, con una crescita del 42% rispetto al 2019. Tra i paesi europei, l’Italia è seconda per esportazioni solo alla Germania. I dazi, che per il nostro paese entreranno in vigore dal 9 aprile, potrebbero cambiare radicalmente le cose.
Gli effetti dei dazi – L’associaizone per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, Svimez, ha calcolato che dazi al 10% su tutti i prodotti porterebbero a un calo del Pil italiano dello 0,1%, una perdita di 27 mila posti di lavoro e una riduzione del 4,3% dell’export. Nel caso di dazi al 20% – come è stato annunciato da Trump per tutta l’Europa – l’impatto sarebbe il doppio. Una simulazione della società di consulenza Prometeia calcola un possibile costo per l’economia italiana tra i 4 a i 7 miliardi di euro, nelle ipotesi di un aumento dei dazi di 10 punti percentuali solo sui prodotti già sottoposti a tariffe o di una stretta analoga generalizzata. Anche in questo caso, dobbiamo calcolare il doppio.
I prodotti e le regioni più toccate – Sono 3.300 le imprese che rischiano di subire maggiormente i dazi applicati dagli Stati Uniti. L’ultimo rapporto sulla competitività dell’Istat le ha rinominate «vulnerabili» nei confronti degli Stati Uniti perché concentrano le loro esportazioni verso quell’area. Sempre secondo l’Istat, le aziende considerate vendono soprattutto prodotti farmaceutici, prodotti meccanici come turboreattori e turbopropulsori, gioielleria, cibo, vino, olio e mobili.
I dazi colpirebbero in modo diversificato anche le regioni italiane. Per Liguria, Campania, Molise e Basilicata, gli Stati Uniti rappresentano infatti il primo mercato di sbocco. Ad essere più a rischio però sarebbero le regioni del Mezzogiorno – in particolare Sardegna, Molise e Sicilia – a causa della scarsa diversificazione delle loro esportazioni. Per il vino, le aree geografiche più danneggiaterischiano di essere quella del Brunello in Toscana, del Prosecco e del Pinot Grigio in Veneto e Friuli, le denominazioni vitivinicole maggiormente esportate negli Usa.

Un esempio di prodotto “italian sounding”
Il pericolo dei “tarocchi” – Si chiamano tarocchi, ma non sono una delle varietà di arancia preferita dagli italiani. I cosiddetti italian sounding sono i prodotti che si presentano con nomi, slogan e colori che richiamano l’Italia e imitano prodotti protetti da indicazioni geografiche o denominazioni di origine. L’aumento del costo del Made in Italy sugli scaffali dei supermercati americani potrebbe portare ad una fioritura di questi prodotti, che non essendo fatti in Italia e non avendo la qualità dei prodotti italiani, hanno ovviamente un prezzo più basso.
Tra gli alimenti più interessati da questo fenomeno ci sono, per citarne alcuni, l’olio di Puglia, che è il prodotto agroalimentare più taroccato sul web e nei Paesi Ue, il Prosecco, la pasta, il parmigiano, il pecorino romano e l’olio Evo toscano.
Le vie alternative – Per alcuni attori primari del Made in Italy, come i produttori di vino, la soluzione starebbe nel dialogo e in un accordo diretto tra aziende italiane e americane: «Con i sanguinosi dazi americani al 20% il mercato dovrà tagliare i propri ricavi di 323 milioni di euro all’anno, pena l’uscita dal mercato per buona parte delle nostre produzioni. C’è la necessità di fare un patto tra le nostre imprese e gli alleati commerciali d’oltreoceano che più di noi traggono profitto dai vini importati; serve condividere l’onere dell’extra-costo ed evitare di riversarlo sui consumatori», ha dichiarato il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi.
Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani, nel caso invece in cui gli Stati Uniti non dovessero essere più un mercato interessante per l’export di prodotti italiani, «l’obiettivo di raggiungere i 700 miliardi di euro totali di export entro la fine della legislatura sarà possibile solo puntando ad una forte azione di diversificazione» dei mercati di esportazione. Essenziale sarà puntare sulla rotta della via del Cotone, per Tajani un vero e proprio «ponte indo-mediterraneo verso il Pacifico». Nei prossimi giorni il vicepremier sarà in India e poi in Giappone, Messico e Arabia Saudita.