Giacomo ha tredici anni e frequenta le scuole medie. Ogni settimana, come i suoi coetanei, riceve una paghetta dai genitori per comprare un gelato, una pizza, un fumetto che desidera da tempo. Quando deve aprire il portafogli e dare i soldi al negoziante, però, si paralizza e resta immobile, con gli occhi persi, in attesa che la mamma o il papà lo aiutino. Giacomo non sa distinguere le banconote, non sa calcolare il resto, non conosce il valore del denaro. Giacomo ha la sindrome di Down.

«A noi sembrano delle operazioni semplici, ma per questi ragazzi possono diventare ostacoli insormontabili», spiega Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Associazione italiana persone Down (Aipd). «L’educazione al risparmio è fondamentale per la loro crescita, altrimenti vengono completamente tagliati fuori dai contesti sociali tipici della loro età. Rischiano di rimanere isolati. E anche una semplice cena con gli amici può trasformarsi in un sogno irrealizzabile», aggiunge. È per questo che Aipd, come tante altre associazioni presenti sul territorio italiano, si occupa di insegnare alle persone con sindrome di Down l’uso dei soldi. «Il punto di partenza è il baratto, basato sui concetti di scambio e di valore. Poi passiamo al riconoscimento dei diversi tagli di monete e banconote, soprattutto attraverso i colori», precisa Contardi. «Il rosso corrisponde a 10 euro, il blu a 20 e l’arancione al taglio da 50. L’ultimo passo consiste nel dare la giusta somma al negoziante e ricevere il resto, fino alle previsioni di spesa». Un percorso lungo, che Aipd ha esportato anche all’estero, in Irlanda, Portogallo, Venezuela. «Il nostro è un metodo funzionale, basato sulle esigenze dei singoli e improntato alla pratica», continua. «C’è chi riesce a ottenere piena padronanza dei contanti e chi magari si ferma al primo step, ma il risultato non cambia. Alla fine sono sempre loro a pagare e a gestire le somme di cui dispongono. Ed è l’unica cosa che conta».

L’esperienza della coordinatrice nazionale di Aipd è confluita nel libro Fare spese senza sorprese, scritto insieme a Monica Berarducci e Daniele Castignani ed edito da Erickson nella collana “Laboratori per le autonomie”. «Il volume può essere usato anche per i bambini della scuola primaria e di recente è stato tradotto persino in russo. Ma senza l’apprendimento in situazione è difficile fare progressi concreti», chiarisce Contardi. Il primo luogo in cui questi ragazzi si scontrano con il tema del denaro è la famiglia. «Molti genitori all’inizio pensano che si tratti solo di insegnare ai propri figli come controllare il resto. Ma spesso non lo facciamo nemmeno noi. Le problematiche da affrontare invece sono altre. Ad esempio è importante dare una paghetta settimanale e non i soldi di volta in volta. Basta un po’ di pazienza e i risultati arrivano: tutti sono in grado di acquisire queste capacità».

Superata l’adolescenza, poi, si presentano nuove sfide. «Con i più grandi affrontiamo l’uso delle carte di credito e di debito, a partire da una semplice Postepay. E con chi lavora, anche la gestione del salario. Si tratta di un passaggio impegnativo, perché per loro non è facile comprendere le grandi cifre». Ma le soluzioni ci sono, sottolinea Contardi, «ad esempio pianificando le spese con dei budget settimanali». Perché è così importante? «Oggi l’età media della popolazione sta aumentando. Il 60 per cento delle persone con sindrome di Down in Italia è già adulta. Non affrontare questo tipo di tematiche significa rimanere esclusi dalla società. Per loro è un danno irreparabile. Ma lo è anche per il Paese». Secondo gli ultimi dati forniti da Aipd, infatti, soltanto il 13 per cento dei ragazzi Down ha un lavoro e un contratto regolare. E in parte è dovuto proprio alla mancanza di adeguate conoscenze economiche. «L’educazione al risparmio dovrebbe iniziare già a scuola. Ma l’approccio che viene utilizzato talvolta è troppo matematico», conclude. «Bisogna partire dalla vita quotidiana, dalle banconote vere. E non da cifre e numeri. Il problema è che i docenti non sono adeguatamente preparati».

La pensa così anche Roberto Fini, professore di Macroeconomia dell’Università di Verona e presidente dell’Associazione europea per l’educazione economica (Aeee). «La maggior parte degli insegnanti, curriculari e di sostegno, non ha competenze specifiche in materia. Per i ragazzi con disabilità sono stati introdotti degli strumenti ad hoc, ma la scuola non ha abbastanza risorse. E questo è un ostacolo che vale per tutti, non solo per le persone Down», spiega Fini. «Per gli alunni delle elementari un percorso ministeriale di tipo socio-economico è previsto da più di trent’anni. Eppure i docenti non sono mai stati formati. Poi ci sono le medie, dove tali argomenti sono del tutto assenti. E le superiori, dotate di alcuni istituti tecnici e licei a indirizzo economico-sociale. Il risultato? Oltre otto studenti su dieci non hanno alcuna competenza formale in questo campo». Una situazione certificata anche dall’International Network on Financial Education dell’Ocse.

Secondo l’ultimo report del 2017, l’Italia è al penultimo posto fra i Paesi del G20 in materia di “financial literacy”. Fanno meglio di noi l’Argentina, l’India, il Brasile, con la Francia a fare da capofila. «La colpa non è solo dei governi, che pure hanno capito il ruolo dell’alfabetizzazione finanziaria come strumento di inclusione sociale, ma è anche delle famiglie italiane», ci tiene a specificare il professore. «Spesso i genitori tendono a non parlare ai bambini dei soldi e a non coinvolgerli quando emergono difficoltà economiche. Si tratta di un’impostazione che arriva da lontano e di cui facciamo fatica a liberarci. Invece sono tematiche che andrebbero affrontate sin da piccoli, con la dovuta gradualità». Le conseguenze di questa tradizione tutta italiana, conclude Fini, investono la vita reale dei cittadini. «A essere più esposte sono le fasce più deboli della popolazione, spesso estromesse dalla crescita del Paese. Educare al risparmio permette di includere, di fare progetti, di pianificare il futuro, come nel caso delle persone con sindrome di Down. È un dovere che richiede l’impegno dei governi. Affinché nessuno, anche grazie all’educazione economica, sia lasciato indietro».