Matteo Renzi At The Democratic Party PD National AssemblySolo titoli da riempire con proposte dettagliate. E soprattutto un segnale politico. Così Maurizio Ferrera, ordinario di Politiche sociali e del Lavoro presso l’Università degli Studi di Milano ed editorialista del Corriere della Sera, valuta l’ormai famoso “Jobs Act” di Matteo Renzi. Nella serata dell’8 gennaio, il neo-segretario Pd ha lanciato la bozza delle sue proposte sul tema lavoro. Tra le righe, invitando il governo a prendere nota. 

Professore, secondo Lei ci sono punti capaci di far davvero ripartire l’Italia?
“Non esiste ancora il Jobs Act, quelli presentati sono soltanto i titoli dei capitoli da riempire con proposte dettagliate. Ad oggi, quindi, non si può valutarne il merito. Posso dire che apprezzo il cambio di impostazione, ora innovativa: prima di Natale si puntava tutto su regole e strumenti; oggi ci si focalizza sul modello di mercato del lavoro e di sistema produttivo che vogliamo realizzare da qui ai prossimi 15 anni”.

Le proposte saranno anche solo indicative, ma c’è già chi si pronuncia a favore o contro.
“Il solito vizio italiano di usare la contraerea per uccidere le mosche. Accennare a un “contratto unico” vuol dire che toglieranno gli altri contratti oppure no? Non si sa ancora. Questa anticipazione dei contenuti ha una ratio politica ma non di policy: Renzi sta mandando dei segnali per sondare le risposte e i politici rispondono, ma gli esperti del campo non si pronunceranno. Renzi ci faccia capire bene a quali tipologie di contratto pensa, e in generale su quali dati si basano le sue idee. Sarebbe pericoloso, infatti, se volesse eliminare tutto quello che ha fatto la Fornero sulla base di sole impressioni: il meccanismo di conciliazione extragiudiziale sta funzionando bene, ad esempio, e bisogna tenerlo. In genere in Italia manca la capacità di fare una politica del lavoro che non sia basata su nuove leggi”.

Se fosse lei a dover sviluppare la riforma dei contratti di lavoro, cosa proporrebbe?
“Vorrei che non si insistesse troppo sull’idea di un contratto unico a garanzie crescenti. Se somigliasse al vecchio contratto indeterminato con periodo di prova più lungo, scoraggerebbe di fatto l’assunzione: bisogna mantenere i livelli di mobilità attuali, rafforzando le sicurezze. Sugli ammortizzatori sociali invece c’è molto da fare. I due terzi della spesa vanno ancora alla cassa integrazione, che protegge solo gli insider. Bisognerebbe invece ricondurla a sorreggere per un tempo limitato le imprese in crisi, introducendo poi la rescissione del contratto e un sussidio di disoccupazione. Il sussidio, generalizzato anche ai precari come già previsto dalla Fornero, deve essere adeguato e durare non più di 12 mesi; poi ci deve essere un sistema di servizi per l’impiego che sia in grado di ricollocare, come nel resto d’Europa”.

Quest’ultima idea non è simile all’abbozzo di “assegno universale” di Renzi?
“Dipende quello che Renzi proporrà. Il Jobs Act sarà serio se le proposte poggeranno sulla realtà dei fatti”.

Eva Alberti