Matteo RenziIl Jobs Act di Matteo Renzi non funziona. O almeno non basta. A dirlo non sono solo sindacati come Cgil e Uil, che hanno proclamato per venerdì 12 dicembre uno sciopero nazionale, ma anche economisti e movimenti di opposizione che, con dati alla mano, hanno lanciato a Renzi un messaggio chiaro: così non si crea occupazione.

Ecco su quali punti si concentrano le critiche alla legge delega approvata il 3 dicembre scorso al Senato.

Articolo 18: della sua abolizione se ne parla da anni, e lo scorso agosto il Ministro dell’Interno Angelino Alfano ci è tornato sopra chiedendola entro quello stesso mese. Il Pd inizialmente ha bloccato il leader di Ncd, poi ha deciso di assecondare i desideri di Alfano e ha detto addio al reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. Il comma 7 del Jobs Act di Renzi prevede che chi viene licenziato per motivi economici debba essere ricompensato con un indennizzo economico crescente con l’anzianità. Rimane il reintegro per i licenziamenti nulli, discriminatori e – in alcuni casi fissati dal governo – anche per quelli disciplinari. Secondo i critici, la misura contribuirà ad abbassare ulteriormente i salari e alimenterà le diseguaglianze tra lavoratori, visto che il nuovo sistema riguarderà solo i nuovi assunti a tempo indeterminato e non avrà valore retroattivo.

Demansionamento: con il Jobs Act il lavoratore di un’azienda in crisi potrà scendere di uno o più gradini nella sua carriera, fatto salvo l’obbligo dell’impresa di tener conto delle sue condizioni di vita ed economiche. Un altro modo, secondo il governo, per favorire il ricorso a contratti a tempo indeterminato, insieme allo sfoltimento delle forme contrattuali. Ma il progetto si scontra con un altro punto del Jobs Act: la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, che non saranno più vincolati a cause tecniche, organizzative o produttive specifiche. Basta un cambio di mansione per vederli rinnovati all’infinito.

Creerà nuova occupazione? Il riordino del sistema dei contratti è un altro punto che ha suscitato le critiche di più di un osservatore. Nonostante le intenzioni del Governo, non c’è alcuna certezza – ha detto Tito Boeri in un’intervista a Il Fatto Quotidiano – che il Jobs Act porti davvero alla creazione di nuova occupazione. Anzi i lavoratori potrebbero essere sempre più precari.

Contratto a tutele crescenti: per la nuova legge, ogni neoassunto a tempo indeterminato passerà per tre anni di prova, in cui l’azienda potrà decidere in qualsiasi momento se fare a meno di lui. Alla fine dei tre anni, il lavoratore sarà assunto. Il movimento giovanile Act-Agire, tra i maggiori critici della riforma del lavoro di Renzi, ha redatto un documento in cui critica aspramente il Jobs Act e in un passaggio si chiede: “Senza la cancellazione delle forme contrattuali atipiche, come si pensa di rendere il contratto a tutele crescenti uno strumento deterrente nei confronti della precarietà lavorativa?”. Nella versione finale della legge potrebbero entrare indennizzi per i lavoratori anche per i licenziamenti nei primi tre anni. Ma i dubbi restano: senza eliminare i contratti atipici, non sarà facile vedere le aziende assumere davvero con il contratto a tutele crescenti.

Ammortizzatori sociali: il Jobs Act sostituisce la cassa integrazione con l’indennità di disoccupazione generalizzata e legata ai contributi del lavoratore. L’Aspi – assicurazione sociale per l’impiego – sarà estesa anche ai co.co.pro. E su questo è l’Associazione XX Maggio ad esprimersi: “L’universalizzazione degli ammortizzatori sociali sarà estesa solo ad altri 46.577 collaboratori coordinati e continuativi. Rimangono esclusi circa trecentomila lavoratori parasubordinati e a partita iva, iscritti alla gestione separata, più i lavoratori autonomi iscritti all’ex Enpals e tutti i liberi professionisti”.

Servizi per l’impiego: il Jobs Act prevede la creazione di un’agenzia nazionale per l’occupazione ed assimila i servizi di collocamento pubblici e privati. Lì ogni disoccupato potrà disporre di voucher regionali, che le agenzie incasseranno solo quando gli troveranno un posto di lavoro. Qui il problema è tutto di bilancio: con quali soldi le Regioni finanzieranno i voucher, con quattro miliardi di tagli già previsti dalla Legge di Stabilità 2015?

Quando la legge definitiva? Tra i nodi che preoccupano sia i giuslavoristi che gli interessati, c’è anche quello delle tempistiche. A quasi un anno dall’insediamento di Matteo Renzi e della sua squadra, a metà dicembre si continua a parlare solo di una legge delega, per la quale si è ancora in attesa del mandato legislativo definitivo. La riforma potrebbe essere di nuovo modificata e questo rende ancora più difficile capire quale sarà il suo reale impatto.

Chiara Baldi