giornalismo autonomoQuella dei giornalisti precari è una “bolla strutturale”. A dirlo è il quinto rapporto annuale di Lsdi (libertà di stampa e diritto all’informazione, sito che si occupa di monitorare i cambiamenti della professione), sul lavoro autonomo nel giornalismo, elaborato grazie ai dati delle due casse di previdenza Inpgi e Casagit, dell’Ordine e del sindacato (Fnsi).

Nell’arco di dieci anni, si legge nel rapporto, i giornalisti non salariati sono aumentati del 327,7 per cento ed è cresciuto il divario tra tutelati e autonomi. Colpa della crisi economica e strutturale che stanno attraversando i giornali, ma anche della fine dei finanziamenti pubblici all’informazione e dell’impiego sempre più massiccio di collaboratori precari da parte delle testate.

Spiega lo studio Lsdi: “Gli editori ‘gonfiano’ sempre di più la ‘bolla’ dell’attività autonoma, alimentando un bacino di lavoro precario e sottopagato che si allarga sempre di più”. In questo modo non solo aumenta il divario tra lavoro autonomo e parasubordinato, ma diminuisce anche la retribuzione per entrambe le categorie. Per i primi si passa dai 62.459 euro del 2012 a 61.180 euro nel 2013, con un calo del due per cento. Per i secondi il crollo è del tre per cento, con la retribuzione media che passa da 11.278 a 10.941 euro lordi annui.

Lo scarto tra quanto entra nelle tasche di un dipendente e quanto guadagna un collaboratore è ben evidente nel caso di pubblicisti e autonomi: il loro reddito è tra il 5,6 e il 6,9 per cento inferiore rispetto a quello di un salariato. Quello del libero professionista è inferiore di circa 4,7 per cento.

I dati dell’Inpgi 2 – l’inps dei giornalisti freelance – dicono che al 31 dicem­bre 2013 gli iscritti erano 38.988: il 7,1 percento in più rispetto allo stesso giorno del 2012. Di questi, 7.890 hanno un rap­porto di lavoro subordinato e sono iscritti anche all’Inpgi 1. Quindi a fine 2013, i freelance puri erano erano 31.098 (+9,5% rispetto al 2012). Sono loro a contribuire all’aumento generale degli iscritti all’ordine: a fine 2013 113.620 con­tro i 112.046 dell’anno pre­ce­dente. Ma gli ‘attivi’ sono solo 50 mila.

L’informazione italiana si regge su un numero consistente di lavoratori con meno diritti rispetto ai loro colleghi in redazione. Un gruppo che lavora in modo perlopiù occasionale, al punto che sette autonomi su dieci ricava dalla professione giornalistica un reddito inferiore ai 10 mila euro l’anno, mentre sei su dieci addirittura guadagnano meno di 5 mila euro in dodici mesi.

“Il numero dei contratti a tempo indeterminato – prosegue il rapporto – è calato fra il 2008 e il 2013 di 2.351 unità (da 18.204 a 15.853 rapporti di lavoro), con una diminuzione del 12,9 per cento. Mentre il calo complessivo dei rapporti di lavoro è stato del 10,6 per cento”. Nello stesso arco di tempo, i pubblicisti dislocati nelle redazioni locali (ex art.36) sono aumentati del sette per cento, mentre corrispondenti e collaboratori fissi sono diminuiti rispettivamente del 4,3 e del 23,4 per cento. Dati che, secondo Lsdi, smentiscono le previsioni ottimistiche del 2013.

Gli incentivi – sotto forma di sgravi contributivi – che l’Inpgi ha adottato negli ultimi tre anni hanno portato solo a 360 nuove assunzioni. Nei primi sei mesi del 2014, si sono persi 634 posti di lavoro senza che ne fosse creato nessun altro. La disoccupazione è cresciuta del 47,6 per cento. La cassa integrazione è aumentata del 21,1 per cento e i contratti di solidarietà del 51,1. “Una crisi senza precedenti”, la definisce il presidente dell’Inpgi Andrea Camporese. I pensionati rischiano di aumentare, i salariati di diminuire e i freelance di contribuire troppo poco a mantenere in piedi una piramide che, oggi, si basa essenzialmente su di loro.

Chiara Baldi