Dal carbone alle automobili, è scontro tra protezionismi. I contro- dazi imposti dalla Cina, che entreranno in vigore il 10 febbraio, colpiranno numerosi beni provenienti dagli Stati Uniti. La ritorsione arriva nel momento in cui le nuove tariffe Usa sull’import da Messico e Canda sono state invece sospese dal presidente statunitense Donald Trump. Se con i due Paesi confinanti potrebbe essere tregua, lo scontro tra Pechino e Washington è già passato ai fatti..

La ritorsione – Il leader cinese Xi Jinping ha subito risposto ai dazi fissati, senza ripensamenti, da Trump. Il tycoon aveva alzato su tutto l’import dal Paese orientale l’aliquota del 10%, che si somma a quelle già in vigore. La Cina imporrà a sua volta una tariffa aggiuntiva del 15% su carbone e il gas naturale liquefatto (Gnl) esportato dagli States. Un’ulteriore imposta del 10% andrà ad impattare su petrolio, attrezzature agricole e alcune tipologie di automobili. In particolare, sui mezzi di grossa cilindrata e pick-up. Ci saranno poi restrizioni nelle esportazioni cinesi «di articoli relativi a tungsteno, tellurio, bismuto, molibdeno e indio» con effetto immediato, per «salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali e adempiere agli obblighi internazionali come la non proliferazione nucleare». Per commerciare con altri paesi su 25 tipi di prodotti e tecnologie che impiegano metalli rari, servirà una licenza specifica. Anche questo potrebbe essere un problema per gli Usa perché si tratta di materiali necessari in vari processi industriali. Il tungsteno, ad esempio, è un minerale fondamentale in ambito militare. La Cina ha agito cercando di non colpire invece la fetta di import cruciale per la sua economia. Secondo i dati della U.S. Energy Information Administration, le importazioni di Pechino di petrolio greggio statunitense sono diminuite negli ultimi mesi, mentre quelle di Gnl sono aumentate. Ma gli Usa sono solo il quinto fornitore di gas naturale della Cina, secondo le analisi di Saul Kavonic, esperto di energia per la società di servizi finanziari MST Marquee,

Aziende Usa nel mirino – La reazione della Cina non si limita però ai dazi. Potrebbe essere una questione più politica che giudiziaria la scelta dell’antitrust cinese, la State Administration for Market Regulation, di aprire un’indagine sul colosso statunitense del web Google in quanto «sospettato di aver violato le leggi anti-monopolio cinesi». In realtà Google aveva ritirato il suo motore di ricerca dal Paese orientale già nel 2010 e molte sue attività sono bandite, come le applicazioni YouTube e Google Maps. Parliamo dunque di una mossa poco più che simbolica. Il ministero del Commercio cinese ha poi annunciato di voler inserire il gruppo di moda Usa Pvh, proprietario dei brand Tommy Hilfiger e Calvin Klein, e l’azienda biotecnologica Illumina nell’elenco di quelle che vengono ritenute “entità inaffidabili”, per «tutelare la sovranità nazionale».

Messico e Canda – «Le dimensioni geo-economiche globali del commercio tra Stati Uniti e Cina implicano che la risoluzione sarà molto più rischiosa rispetto a quanto accaduto con Messico e Canada», ha spiegato Vishnu Varathan, responsabile della ricerca macroeconomica per l’Asia (escluso il Giappone) presso la banca giapponese Mizuho Bank. Con Messico e Canada, Trump ha infatti deciso di dare priorità alle trattative, sospendendo temporaneamente i dazi del 25% sulle loro esportazioni. Il presidente Usa ha percorso la strada del colloquio con il premier canadese Justin Trudeau e la presidente messicana Claudia Sheinbaum, che ha fatto sapere che invierà 10 mila militari per pattugliare le frontiere e contrastare l’immigrazione illegale verso gli States. Non è per ora avvenuta invece la telefonata tra Trump e Xi Jinping che aveva annunciato la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt nei giorni scorsi.