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Doveva essere una modesta correzione dei conti per rientrare nei parametri di bilancio stabiliti dall’Unione europea. Ma la manovrina di primavera, oggi sul tavolo del consiglio dei Ministri, si è trasformata in un «mostro di provvedimento». E se a dirlo è la direttrice generale del Tesoro, Fabrizia Lapecorella, bisogna crederci.

Tasse sì, tasse no – Il segretario del Pd, Matteo Renzi, aveva promesso che non ci sarebbero state nuove tasse. Niente misure depressive per non affossare la debole ripresa italiana. Al nuovo premier Paolo Gentiloni il compito di trovare i 2,3 miliardi necessari a riportare il deficit – la differenza fra entrate e uscite correnti dello Stato – al 3% del Pil, il parametro sancito dal Trattato di Maastricht. Mediando con le istituzioni europee e con il ministro delle Finanze, Pier Carlo Padoan. Un compito non facile che ha richiesto tempo e ha portato a ritardare la presentazione del Documento di economia e finanza (Def), lo strumento di programmazione di bilancio, di norma da approvare entro il 10 aprile. Alla fine, la “manovrina”, che vale lo 0,2 percento del Pil, contiene una limatura delle spese, misure di lotta all’evasione fiscale e aumenti di tasse mirati.

Più vinci, più paghi – Si potrebbe parlare di tasse etiche. Il “mostro di provvedimento” colpisce infatti due vizi degli italiani: il gioco e il fumo. Dall’aumento delle imposizioni sull’industria dell’azzardo si attende un maggior gettito pari a 300 milioni. I fortunati che vinceranno più di 500 euro con Videolottery, Gratta e vinci e Superenalotto dovranno versare al fisco un decimo del bottino (e non più il 6 per cento come prima). Anche la ruota del Lotto paga pegno: la tassa sulla vincita passa dal 6 all’8 per cento. E le macchinette dei bar – cosiddette new slot – non saranno risparmiate: via XX settembre si aspetta 100 milioni dall’aumento di un punto percentuale del Prelievo erariale unico (Preu). Non dovrebbe poi mancare il tradizionale aumento delle accise sui tabacchi e, forse, sull’alcol. Quella sui vizi è indubbiamente la tassazione meno impopolare e più facile da far digerire all’elettorato.

Iva a me – Una somma consistente dovrebbe arrivare dall’estensione alle società pubbliche del cosiddetto split payment. Si tratta di un meccanismo utile a prevenire possibile frodi nel versamento dell’Iva. Semplificando al massimo, dal 2015 gli enti pubblici – e da oggi anche le società pubbliche – quando ricevono un bene o un servizio da un fornitore, sono tenute a pagare all’impresa solo il corrispettivo per la prestazione. Devono invece trattenere l’Iva per poi versarla direttamente nelle casse dello Stato. L’obiettivo è evitare che nel passaggio dall’ente pubblico all’impresa e poi al fisco una parte dell’Iva venga fraudolentemente sottratta. Altro denaro dovrebbe poi essere recuperato grazie alla rottamazione non più solo delle cartelle esattoriali, ma anche delle liti fiscali: i processi per tasse evase o eluse potranno chiudersi se il contribuente accetterà di pagare il dovuto al netto di sanzioni e interessi maturati dopo l’inizio del contenzioso giudiziario.

Gli imbucati – Nel provvedimento mostruoso, però, entrano anche contenuti estranei all’aggiustamento del deficit. Lo scopo è di evitare le lungaggini e le trappole del dibattito parlamentare. Si va dall’ampliamento delle possibilità di assunzione per i comuni con più di diecimila abitanti alle misure di defiscalizzazione e per la ricostruzione a favore dei terremotati.