Anche l’Antitrust scende in campo nella lotta tra Airbnb e il fisco italiano. E si schiera a favore della piattaforma di home sharing contro la cosiddetta «tassa Airbnb», la cedolare secca al 21% sulle locazioni brevi, introdotta dal governo con la “manovrina” di inizio 2017. Secondo l’Authority per la concorrenza nel mercato, il provvedimento che obbliga il portale online ad agire da sostituto d’imposta rischia di «danneggiare i consumatori finali» e «alterare la concorrenza». Per questi motivi, «pur riconoscendo che l’obiettivo della norma è la lotta all’evasione», ha inviato una segnalazione ai presidenti di Camera e Senato, al ministero dell’Economia e all’Agenzia delle entrate affinché possano rivedere il provvedimento.

Cosa prevede la tassa – La nuova tassa sugli affitti brevi (inferiori ai 30 giorni) prevede che gli intermediari immobiliari – dai portali online alle tradizionali agenzie turistiche – agiscano da sostituti d’imposta, cioè da soggetti incaricati di trattenere le tasse sulle tariffe degli affitti da versare poi alla pubblica amministrazione. La norma ha l’obiettivo di contrastare l’evasione fiscale dei proprietari degli immobili, un fenomeno ritenuto frequente sui soggiorni brevi, quelli da one day trip. Dal primo giugno, su questi canoni di locazione, AirBnb è obbligata a trattenere dai padroni di casa una ritenuta del 21% e a girare i dati all’Agenzia delle entrate. Un provvedimento che rappresenta un unicum in tutta Europa e che ha spinto il colosso americano a far ricorso (poi respinto) al Tar del Lazio. Nonostante la bocciatura, però, la piattaforma di home sharing rifiuta di adeguarsi al provvedimento.

L’Antitrust dice no – Dopo mesi di attesa l’Authority ha preso una posizione netta. L’obbligo sui prelievi degli affitti – si legge nella lettera inviata agli indirizzi di Montecitorio e palazzo Madama – «appare potenzialmente idonea ad alterare le dinamiche concorrenziali tra i diversi operatori, con possibili ricadute negative sui consumatori finali dei servizi di locazione breve». Insomma, la cedolare secca rischierebbe di scoraggiare l’offerta di forme di pagamento digitale, costringendo gli operatori ad alzare i prezzi degli affitti che per la loro convenienza hanno fatto la fortuna di proprietari e turisti. Il timore – si legge – è che la norma vada a «discapito di coloro che adottano modelli di business caratterizzati dal ricorso a strumenti telematici di pagamento», un settore che ha contribuito «a una generale crescita del sistema economico». Inoltre, fa sapere sempre l’Antitrust, l’obiettivo nobile del contrasto all’evasione fiscale, per quanto sia un problema reale, «potrebbe essere perseguito altrettanto efficacemente con strumenti che non diano al contempo luogo a possibili distorsioni concorrenziali nell’ambito interessato». Con quali strategie? Ad esempio, prevedendo misure meno onerose per proprietari e operatori, con l’introduzione di «un obbligo fiscale di carattere informativo in capo agli intermediari e ai gestori di piattaforme immobiliari telematiche». Ovvero, introducendo l’obbligo per Airbnb di comunicare, a cadenza da definire, i flussi delle prenotazioni raccolte all’Agenzie delle entrate, in modo tale che il fisco italiano possa così in autonomia effettuare le sue valutazioni sugli affitti avvenuti e le eventuali evasioni.

Gli albergatori – Favorevole al provvedimento si conferma, invece, Federalberghi. Il direttore generale dell’organizzazione che riunisce gli albergatori Alessandro Nucara è soddisfatto della norma e invita il governo «a tenere la barra dritta in materia di disciplina fiscale delle locazioni brevi». Cambiando direzione, invece, spiega Nucara, le imprese italiane «che sono soggette a un carico fiscale tra i più gravosi al mondo non comprenderebbero il senso di aggiustamenti volti a strizzare l’occhio agli evasori».