Il mercato del lavoro in Italia continua la sua strada a singhiozzo. In dicembre il tasso di disoccupazione è tornato a crescere dello 0,1% rispetto al mese precedente, arrivando così all’11,4% (dati Istat). Gli occupati sono stati 21 mila in meno rispetto a novembre, quando invece erano cresciuti di 36 mila unità. Emerge il continuo calo dei lavoratori indipendenti – 54 mila in meno di novembre – e la crescita dei contratti a tempo indeterminato, 33 mila in più, la quasi totalità dei nuovi occupati. Ora le persone che hanno (ufficialmente) un lavoro nel nostro Paese sono quasi 22 milioni e mezzo. Invariato il numero degli inattivi, ovvero chi non ha un impiego e non lo cerca. Cala, anche se di poco, la disoccupazione giovanile. I ragazzi e le ragazze tra i 15 e i 24 anni senza lavoro sono il 37,9%, in calo dello 0,1%, ai minimi dal 2012.

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Ma la diffusione dei dati di dicembre è anche il tempo per un bilancio annuale del 2015, più positivo di quello congiunturale. Rispetto all’ultimo mese del 2014 il tasso di disoccupazione, allora del 12,3%, è sceso dello 0,9%. Gli occupati sono invece 109 mila in più. Anche in questo caso il calo dei lavoratori indipendenti è consistente: 138 mila in meno, a fronte di un numero quasi uguale di maggiori assunti con un contratto a tempo indeterminato. Ma qual è la causa di questo trasferimento di lavoratori? Per il professor Marco Leonardi, docente di Economia del Lavoro all’Università degli Studi di Milano e consulente tecnico del governo per il mercato del lavoro, si tratta di «un effetto sia del Jobs Act sia degli sgravi previsti dalla legge di stabilità 2015 per le nuove assunzioni permanenti. È proprio ciò che si voleva ottenere con la riforma – commenta Leonardi – e il nuovo contratto a tutele crescenti: sostituire tutta una serie di partite Iva nei fatti fasulle e contratti di collaborazione di vario tipo con regolari contratti permanenti».

Dati numerici

Altro dato di rilievo è l’aumento dei lavoratori nella fascia di età compresa tra i 50 e i 64 anni, 189 mila in più. «È l’effetto della riforma Fornero – spiega Leonardi – le persone vanno in pensione sempre più tardi e quindi il numero dei cinquantenni e sessantenni al lavoro cresce naturalmente». Una dinamica che ritarda l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro? Difficile da valutare, secondo il professore, che aggiunge: «Il mercato del lavoro su base mensile si muove molto lentamente, un calo transitorio è possibile. Più importante sarà l’andamento dei primi mesi del 2016 per valutare se la riduzione al 40% degli sgravi sulle nuove assunzioni avrà effetti rilevanti».

Antonio Lusardi