Il lavoro c’è ma i contratti a tempo indeterminato restrano un sogno quasi proibito. E’ quanto emerge dai dati sull’occupazione nel settore privato tra il 2013 e il 2017 pubblicati dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps). In termini assoluti gli occupati dipendenti del settore privato non agricolo erano 15,3 milioni nel 2017, il 4,1% in più rispetto al 2016 e il 3,3 % in più rispetto alla media annua. La classe di lavoratori più ampia era quella degli operai che rappresentavano quasi il 57% (8.509.445) degli occupati nel settore privato italiano, in crescita del 5,6% in rispetto al quinquennio precedente.

Contratti- Le note positive però si fermano qui La crescita è strettamente legata all’aumento dei contratti a termine (+28%) a discapito di quelli a tempo indeterminato, che invece continuano a diminuire riaffermando un trend che appare difficile da invertire. “Questi dati sono figli di un’incertezza di medio periodo sulle prospettive dell’economia e della produzione – spiega Dario Di Vico, editorialista del Corriere della Sera che da tempo si occupa del lavoro e della sue dinamiche -. In futuro la pianta organica sarà sempre più magra e snella ed intorno ad essa ci sarà una costellazione di rapporti a termine. La tendenza è questa e non sto dicendo che è positiva».

I giovani- L’aumento degli occupati è solo parzialmente un dato positivo, specialmente se si prende in considerazione la condizione lavorativa dei giovani italiani tra il 15 e i 24 anni,  il cui tasso di disoccupazione rilevato dall’Istat è al 40,1 %. Proprio in merito ai più giovani, continua Di Vico, si nota che questi sono svantaggiati anche a causa dello scarso dialogo tra gli istituti e le aziende nel momento dell’alternanza scuola-lavoro: «Le imprese diffidano del capitale umano, della cultura dei giovani che non conoscono l’impresa, il lavoro e hanno bisogno di essere testati prima di essere assunti a lungo termine». Gli imprenditori quindi, di fronte a un ciclo economico che non permette un quadro di certezze sufficienti ad assumere e ampliare la pianta organica, perdono fiducia anche nelle nuove generazioni. Questo per dire che i datori di lavoro preferiscono affidarsi a prestazioni occasionali e funzionali anziché investire in contratti più difficili da interrompere in caso di insoddisfazione.

Sistemi che funzionano-Secondo Di Vico, un modo per risolvere i difetti italiani, qualitativi più che quantitativi, inerenti al mercato del lavoro, è invece quello di partire proprio dal capitale umano giovanile e lo si potrebbe fare anche prendendo spunto da chi ci riesce meglio dell’Italia: «Dai modelli stranieri, come quello tedesco, si può sempre imparare. Ci sono culture del lavoro diverse e quella tedesca, incentrata sull’istruzione tecnica, canalizza il giovane all’ingresso nell’impresa».