L’obiettivo è l’Europa. Il reddito minimo garantito è al centro delle cronache politiche nazionali, visto che solo l’Italia, insieme alla Grecia, non ha ancora introdotto una forma di sussidio contro la povertà.

«Si devono allargare le tutele economiche e sociali per chi lavora e, per chi dovesse perdere il posto, ragionare sul cosiddetto reddito minimo garantito. E questo per qualunque lavoratore, che sia dipendente, autonomo, a progetto, con partita Iva», sono queste le prime proposte di Marianna Madia la responsabile al Lavoro della nuova segreteria del Partito Democratico guidata da Matteo Renzi. Alla questione si è interessato anche il nuovo responsabile all’ economia del PD Filippo Taddei,  «penso più che altro all’universalizzazione dell’assegno di disoccupazione. Molte persone che perdono il lavoro non ne hanno diritto». Secondo i dati Istat l’ultimo anno gli italiani sotto la soglia di povertà sono stati più di 9 milioni, di cui quasi cinque in povertà assoluta, pari all’8 per cento dell’intera popolazione. Ecco anche perché le proposte in materia diventano sempre più trasversali e più confusionarie.

Beppe Grillo, durante i comizi per le scorse elezioni, parlava di un “reddito di cittadinanza” a 1000 euro al mese, limitato per tre anni, «che deve dare il tempo a un giovane di cercarsi lavoro». Ma fra reddito minimo di cittadinanza e reddito minimo garantito ci sono molte differenze. La prima è quella economica: il reddito di cittadinanza ha un costo molto più alto per le casse dello Stato, vari economisti parlano di 300 miliardi di euro, equivalenti al 20 per cento del Pil italiano. Questo perchè il sussidio ha carattere universale ed è illimitato nel tempo. L’unico requisito richiesto è la cittadinanza.

Al contrario, il reddito minimo garantito è limitato nel tempo con dei requisiti basati su regole uguali per tutti. Il sussidio però viene concesso in base al reddito e al patrimonio di chi ne fa domanda. Uno dei parametri può essere l’aver perso il lavoro o non riuscire a trovarlo. Caratteristiche che lo rendono molto meno costoso rispetto al reddito di cittadinanza.

Un primo esperimento è contenuto nella finanziaria della regione Sicilia, presentata il 13 dicembre scorso a Palazzo dei Normanni. Si parla di reddito minimo di inserimento, destinato alle famiglie più in difficoltà. La cifra che verrebbe stanziata – se entro il prossimo 31 dicembre venisse approvato il provvedimento – è di 15 milioni di euro, che secondo la Cgil basterebbero a coprire i bisogni di sole 4000 famiglie, contro le 225 mila in difficoltà.

L’aiuto alle famiglie bisognose disposto dalla Regione Sicilia conta su un contributo massimo di 400 euro a nucleo familiare, un sostegno destinato a chi si trova in “condizioni di disagio socio-economico, qualificabili come povere secondo l’indicatore Istat di povertà assoluta”. Si tratta di un metro di valutazione variabile, calcolato sulla base di un paniere di beni considerati di livello minimo per la sopravvivenza, e il cui valore dipende anche dall’area geografica di riferimento e dalle dimensioni della città presa in considerazione. Per le regioni del sud Italia, la soglia di povertà assoluta è fissata a 593 euro a persona (età 18-59 anni) nelle aree metropolitane, a 572 euro nei grandi comuni e a 530 euro nei centri abitati di piccole dimensioni.

In scala molto ridotta rispetto alle proposte politiche teorizzate, si inserisce una norma contenuta nella legge di stabilità del governo Letta. Si chiama “Sostegno di inclusione attiva” e anche se sembra una prova di reddito minimo, si avvicina di più a una social card. Si partirà dalle grandi aree metropolitane e sarà finanziato con i contributi che arriveranno da un taglio alle pensioni più alte, quelle sopra i 90 mila euro. La contribuzione sarà così ripartita: 6% dalle pensioni che superano i 90 mila euro, il 12% oltre 128 mila euro e il 18% sopra i 193 mila euro. Il ministero dell’Economia ha stimato un gettito di circa 40 milioni all’anno, per il prossimo triennio.

In totale 120 milioni di euro che confluiranno nel Fondo per la lotta alla Povertà, lo stesso che finanzia la Carta acquisti. L’idea dello strumento è quella di integrare il reddito di tutte le famiglie che vivono sotto la soglia di povertà assoluta, in cambio di un “patto di inserimento” con i beneficiari. Una sorta di accordo tra i cittadini in difficoltà economica e lo Stato, che prevede la concessione del sussidio a  condizione che l’eventuale beneficiario si impegni a obiettivi concreti di inclusione sociale e lavorativa. L’aiuto potrà essere rivolto a tutti i cittadini, inclusi gli immigrati legalmente residenti o quelli stabilmente residenti secondo le direttive comunitarie, che si trovano ad affrontare un periodo di crisi economica.

Maria Chiara Furlò
Andrea Zitelli