Dopo otto anni i 14 Paesi riuniti nel cartello Opec hanno trovato un accordo per tagliare la produzione dell’oro nero. La decisione è stata annunciata il 30 novembre dal presidente dell’organizzazione Mohammed Al-Sada, a conclusione del vertice di Vienna. La sovrabbondanza di greggio era stata la causa del crollo dei prezzi, che dall’estate del 2014 si sono più che dimezzati. A partire da gennaio si produrranno 1,2 milioni di barili in meno al giorno, così da ridurre il totale delle estrazioni giornaliere a 32,5 milioni. Gli effetti sulla Borsa sono stati immediati. Le quotazioni del Brent, il petrolio del mare del Nord, sono salite al + 8,2%, arrivando a superare i 50 dollari al barile. Sfiora lo stesso prezzo anche il Wti, il greggio del mercato americano, che è aumentato del 10%. Gli analisti sono pronti a scommettere che in poco tempo la risalita arriverà a 60 dollari. L’aumento si rifletterà anche sul prezzo del carburante e di conseguenza sulle tasche dei consumatori.
Si tratta di un’intesa storica, raggiunta dopo mesi di trattativa che hanno visto in gioco rivalità ed equilibri geopolitici. E’ prevalso però l’obiettivo comune: il rialzo del prezzo del petrolio è diventato una condizione indispensabile per la stabilità economica dei paesi in cartello. Non a caso il Venezuela, che sta vivendo una grave crisi, ha avuto un ruolo chiave nella mediazione. I due grandi rivali, Iran e Arabia Saudita, sono riusciti a trovare un compromesso. Il governo di Teheran, che si rifiutava di ridurre la produzione, essendo reduce del ritiro delle sanzioni occidentali, ha accettato di fissare un limite massimo di 3,78 milioni di barili al giorno. I sauditi, che sono il secondo produttore al mondo dopo gli Stati Uniti, si faranno invece carico di metà del taglio complessivo. La produzione di Riad dovrebbe scendere a 10,1 milioni di barili al giorno, quella attuale è 10,6 milioni. L’Indonesia invece ha preferito tirarsene fuori, autosospendendosi dall’organizzazione. Come riporta il Sole 24 ore, il presidente dell’Opec ha dichiarato: «Per loro sarebbe stato difficile partecipare a questa decisione unanime , così hanno scelto di autosospendersi».
La decisione di abbassare i costi era stata presa al vertice del 29 novembre 2014, su iniziativa dell’Arabia Saudita, per contrastare il boom dello shale oil di Usa e Canada, che avevano costi di produzione più alti. I produttori di idrocarburi non convenzionali però hanno dimostrato una resistenza maggiore del previsto.
A Vienna è stato fatto solo un primo passo: l’Opec infatti ha intenzione di trovare accordi per i tagli anche con Paesi al di fuori dell’organizzazione, la Russia in primis. Si vocifera di un primo incontro il 9 dicembre a Doha, in Qatar, nel corso del quale l’Opac chiederà ai paesi non aderenti al cartello di ridurre la produzione complessiva di 600mila barili al giorno. In molti dubitano che la Russia sia disposta ad assumere questo impegno perché più volte in passato ha promesso dei tagli mai realizzati.