Farmaceutica, cantieristica, ricerca spaziale, innovazione tecnologica. Sono tredici gli accordi commerciali bilaterali tra Italia e Cina firmati in questi giorni, nell’ambito della visita di Stato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un’intesa bilaterale a tutto campo, almeno apparentemente. Ma il mescolamento tra persone e culture nei due Paesi – notano gli esperti – procede ben più lentamente.
Affari d’oro. Non è soltanto la neve a fioccare cospicua a Pechino con l’atterraggio del Capo dello Stato, ma anche le opportunità d’affari per le imprese italiane, o almeno per alcune. Dopo l’accorato appello all’apertura economica pronunciato dal Presidente cinese Xi Jinping al Forum economico di Davos, lo scorso gennaio, “la collaborazione è a tutto campo”, assicura Mattarella. A beneficiarne grandi gruppi come Fincantieri, che con la China State Shipbuilding Corporation costruirà due navi da crociera del valore di un miliardo e mezzo, o Leonardo – l’ex Finmeccanica – che punta forte sull’export di elicotteri, ma anche impianti per il controllo del traffico aereo. Ancora più in alto nei cieli, si consolida anche la cooperazione tra l’Agenzia spaziale italiana e l’omologa Csma di Pechino per voli e sperimentazioni congiunte nello spazio.
Esplicito, da parte di Mattarella, l’invito alle autorità cinesi a considerare il mix di competenze ed asset logistici per completare la costruzione della nuova “Via della Seta“, il faraonico progetto di collegamenti ferroviari e marittimi per far correre i commerci eurasiatici promosso dal Governo cinese. “Siamo convinti che il sistema di porti e logistica italiana offra alla Cina la possibilità di completare l’ultimo prezioso tratto di questa nuova via della seta fino al cuore dell’Europa”, l’annuncio del Capo dello Stato, che potrebbe portare a nuovi ricchi contratti nei prossimi anni.
Accordi e partenariati che promettono di influire positivamente sul tessuto economico italiano, secondo Romeo Orlandi, sinologo dell’Università di Bologna. “Anche quando hanno preso il controllo di aziende strategiche del made in Italy – osserva Orlandi – gli investitori cinesi hanno dimostrato sinora di porre grande attenzione a lavoratori e dirigenti nostrani, evitando licenziamenti ed anzi valorizzando le competenze esistenti”. Un incastro di ruoli proficuo che fa pensare, secondo il docente, che la crisi dell’industria italiana stia non nella capacità produttiva, ma in quella gestionale.
Politica. L’accoglienza calorosa riservata al Presidente Mattarella – che rappresenta agli occhi di Pechino il perno del sistema istituzionale italiano nell’ennesima fase d’incertezza e travaglio dei partiti – svela anche il significato politico della visita, che va a braccetto con l’integrazione economica. Per un Presidente americano che “abbandona” l’Europa al suo destino e non nasconde di vedere di buon occhio la disintegrazione dell’Ue, Xi Jinping può rivelarsi un alleato inatteso per gli europei. Di fronte al nuovo protezionismo ed isolazionismo americano, i punti di accordo superano di gran lunga quella divisione. Un tema centrale, quello della salvaguardia dell’Europa, in tutti i discorsi pronunciati da Mattarella, compresa la lunga intervista concessa a Cctv, la televisione di Stato cinese.
Melting pot. Se l’intesa ad alto livello sembra correre su binari sicuri, a restare indietro è però la “fermentazione” culturale tra cittadini italiani e cinesi. Da una parte e dall’altra. “L’economia è molto più rapida dei contatti personali – ragiona ancora Orlandi – che devono far giustizia di millenni di diversità, lontananza e pregiudizi”. E così non soltanto le comunità asiatiche sul nostro territorio restano tutto sommato caute rispetto all’integrazione nel Paese, ma anche gli expat italiani a Pechino e Shanghai faticano ad entrare appieno nella società cinese. “I legami si creano, ma molto di più con gli altri cittadini stranieri trapiantati in Cina che con la popolazione locale, che li mescola a sua volta con difficoltà”. Se i contratti fioccano, i contatti umani restano ancora molti passi indietro.