«Precarietà senza precedenti» e «disoccupazione giovanile dilagante». La campagna elettorale del segretario della Cgil Maurizio Landini, principale promotore dei 4 quesiti referendari sul lavoro, ha provato a dipingere un mercato del lavoro al collasso. Ma la Relazione annuale della Banca d’Italia presentata venerdì 30 maggio e gli ultimi dati dell’Istituto nazionale di statistica hanno mostrato crescita dell’occupazione, delle ore lavorate e ampia diminuzione dei contratti precari.

La relazione della banca centrale – Il documento firmato dal governatore Fabio Panetta ha descritto la situazione di famiglie e imprese, dei conti pubblici italiani e le prospettive economiche internazionali con un intero capitolo dedicato al mercato del lavoro. E se Maurizio Landini ha provato a spingere l’elettorato al voto dichiarando che «c’è stato un aumento della precarietà che non ha precedenti, sono aumentati i contratti a termine», Banca d’Italia ha messo nero su bianco che l’occupazione ha superato il 62%, raggiungendo il nuovo massimo storico e che «la crescita dell’occupazione è stata trainata dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, a fronte di un calo di quello a termine». Nell’ultimo trimestre 2024 (il dato più aggiornato) l’Istat ha infatti registrato 480mila nuovi occupati permanenti e -295mila occupati a termine, con la quota di precari sul totale che è così scesa dal 12,4% all’11%. Il valore migliore da 6 anni.

Contratti part-time – La tesi del segretario generale della Confederazione italiana del lavoro ha messo in campo un’altra affermazione: «C’è un aumento degli occupati ma il totale delle ore lavorate è in calo». La presunta spiegazione: «Questo avviene perché sono cresciuti solo i contratti di poche ore, i part-time involontari». Anche qui, è Banca d’Italia a certificare che «l’aumento delle ore lavorate per addetto (0,5%) è stato sospinto dal minore ricorso al part-time, la cui incidenza, secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, è scesa di quasi un punto percentuale per tutti i lavoratori». Il rapporto ha rilevato una situazione migliore anche rispetto a prima della pandemia, specificando che «la quota di coloro che svolgono un lavoro a orario ridotto, ma ne desidererebbero uno a tempo pieno è ulteriormente diminuita arrivando al 51,3% dal 65,6% del 2019».  Anche Eurostat ha confermato il calo dei part-time che ha raggiunto il 16,7% sul totale dei contratti in Italia nel 2024, contro una media dell’Eurozona pari al 20%.

Licenziamenti in calo – «Secondo i dati rilasciati dall’Inps – ha scritto Palazzo Koch – la crescita dei contratti a tempo indeterminato è stata favorita anche dal basso tasso di licenziamento e dall’alto numero di trasformazioni dei contratti temporanei in essere negli ultimi anni. Si sono invece ridotte le assunzioni a termine e per i giovani». Un dato che, di nuovo, contrasta con le affermazioni dei promotori dei quesiti referendari che hanno spinto sul supposto boom di licenziamenti, soprattutto tra i giovani, a seguito del Jobs Act, la legge del 2016 che ha contribuito a rendere più flessibile l’occupazione, e delle norme sul lavoro da esso derivate. Ed è di nuovo Banca d’Italia a segnalare che nel 2024 la disoccupazione è diminuita al 6,5%, «il valore più basso da 17 anni», e che «la riduzione è stata maggiore per i giovani nella fascia di età tra 15 e 24 anni».

Salari bassi – Tra i punti esplorati nella relazione annuale, è stata in primo piano la questione salariale, che si è ormai configurata come la vera debolezza del lavoro in Italia. L’aumento degli stipendi è stato infatti incapace di compensare l’alta inflazione del triennio 2021-2023 e il potere d’acquisto dei lavoratori italiani è molto diminuito. L’Istat, sul punto, ha certificato la correlazione con il calo della produttività per occupato (quasi 5 punti persi in 3 anni) e il basso numero di lavoratori altamente specializzati, sia tra gli italiani che tra gli immigrati. Non aiuta anche lo stop all’aumento del 9% del salario dei dipendenti pubblici, proposto dal Ministero della pubblica amministrazione, e fermo a causa della contrarietà di Cgil e Uil.