Angel Gurrìa, segretario generale OCSE

Angel Gurrìa, segretario generale OCSE, alla conferenza di presentazione del report sulla crescita

Tutto come tre anni fa. Bisogna tornare al 2009 per trovare un calo del Pil nei paesi dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che raggruppa 34 stati membri. E’ successo allora ed è successo oggi, di nuovo, con il quarto trimestre che chiude in calo dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente. Nel 2009 fu l’intero anno a finire sotto il segno del meno, con una riduzione totale del prodotto interno lordo del 3,6 per cento. A preoccupare l’organismo internazionale sono soprattutto i 27 paesi dell’Unione Europea e i 17 dell’eurozona, che hanno fatto registrare rispettivamente un calo dello 0,5 e dello 0,6 per cento. Con un’ulteriore contrazione dello 0,9, l’Italia aggrava i risultati dei precedenti trimestri, tutti già negativi, e fa peggio di tutti gli altri paesi, o quasi: la eguaglia l’Ungheria (- 0,9) e la supera il Portogallo, con una perdita Pil dell’1,8 per cento.

I virtuosi, nella classifica OCSE, sono sempre loro, le tigri d’Oriente. Bene la Cina (+ 2), quasi raggiunta dall’Indonesia (+ 1,5). Sono gli unici paesi ad avere il segno positivo nella classifica OCSE, a parte la Repubblica Slovacca (+ 0,2 per cento). Il paradosso? Né Cina né Indonesia appartengono all’OCSE, ma vengono comunque monitorate. Gli Stati Uniti, che avevano chiuso il terzo trimestre con una timida ma non disprezzabile crescita dell’ 0,8 per cento, peggiorano e rimangono inchiodati a  un Pil che non cresce.

Dallo Chateau de la Muette di Parigi, sede dell’OCSE, lo sguardo rimane insomma preoccupato. All’interno dei paesi membri ci sono esigenze e tempistiche diverse. L’Europa stagna e la crisi guida le riforme strutturali. Sono proprio i paesi più colpiti – i nefasti PIIGS – ad avere compiuto più riforme tra il 2011 e il 2012. Il paese che più si è dato da fare, in questo senso, è stata proprio la Grecia, seguita da Spagna, Gran Bretagna e Italia.

Sul lato felix dei BRIICS (acronimo per i paesi che crescono a ritmi galoppanti), invece, l’OCSE ha rilevato una politica di riforma scostante e soprattutto molto diversa da un paese all’altro. Chi fa troppo e chi troppo pocho, insomma. Secondo l’ultimo report OCSE sulla crescita a lungo termine, i più sensibili al tema rifome sono i braziliani, seguiti da India, Cina, Sud Africa, Russia e infine Indonesia.

Le previsioni per il Pil 2013 rimangono positive, con una crescita dell’1,4 per cento nei paesi OCSE. Per incontrare le previsioni di crescita, però, bisogna continuare sulla strada delle riforme. Tagliare alcuni punti critici, che l’OCSE ha individuato nel suo ultimo report “Going for growth”, pubblicato il 15 febbraio scorso: disoccupazione a lungo termine, aumento età pensionistica, creazione di nuovi posti di lavoro.

Susanna Combusti