Bicicletta o motorino, basta un tocco sul telefono: il cibo fa slalom nel traffico e arriva ovunque in pochi minuti. Se oggi si parla tanto dei rider è perché negli ultimi anni, con il successo di aziende come Foodora, Justeat, Glovo o Deliveroo, i fattorini della gig economy sono diventati parte integrante delle nostre città. Ma dietro a quegli zaini cubici su cui campeggiano i colori delle app c’è tutto un settore del lavoro dalle tutele ancora scarse e non ancora disciplinato dalla legge. A differenza del classico portapizze che fa la spola tra il titolare da cui lavora e il cliente, per il rider lo schema è diverso: si mette a disposizione della piattaforma di food delivery che lo manda nel punto vendita scelto dal cliente sull’app, e quindi effettua la consegna. Quanto all’assunzione del rider, che sia un lavoretto per arrotondare o l’impiego principale, basta una firma digitale e il nuovo arrivato riceve il cassone per le consegne e spesso un’uniforme, mentre dovrà pensare autonomamente al mezzo di trasporto. A volte si fa il colloquio, altre volte è tutto virtuale.

Autonomo o dipendente? – Uno dei nodi cruciali della “questione rider” è il contratto di lavoro. Il fattorino è formalmente un lavoratore autonomo che collabora con la piattaforma. Se non vuole effettuare la consegna, può rifiutare la chiamata, anche se spesso questo porta a valutazioni negative sul suo profilo, e quindi a sanzioni. In quanto lavoratori autonomi non hanno le tutele tipiche di un dipendente: ferie retribuite, licenziamento ingiustificato, sicurezza sul lavoro e così via. Il problema è che il loro lavoro assomiglia per alcuni aspetti al lavoro subordinato descritto dall’art. 2094 del Codice Civile. La legge parla di “direzione” del lavoratore. Quanto è controllato il rider? Il percorso che l’app gli indica è obbligatorio o solo consigliato? Su queste ambiguità si discute per capire di che tipo di lavoro si tratti. «Ricordano un po’ i pony express degli anni ’90 che erano autonomi sulla carta ma di fatto subordinati», spiega la giuslavorista Francesca Marinelli. «Il potere direttivo e di controllo da parte della piattaforma esiste. Il rider è in molti casi valutato (con delle stelline ad esempio) e da ciò dipende la sua vita lavorativa. Ancora si sa poco del controllo sui rider, le non molte informazioni che abbiamo vengono dagli “infiltrati”».

Le soluzioni in vista – Dopo la marcia indietro del governo sul tema (nella prima bozza del “decreto dignità” c’era un emendamento sui diritti dei rider), gli occhi sono puntati sulla Corte di Cassazione che valuterà la sentenza della Corte d’Appello di Torino dello scorso gennaio. I giudici avevano accolto le richieste dei rider di Foodora che chiedevano di essere pagati come dei dipendenti: richiesta accolta ma solo riguardo ai giorni e alle ore di lavoro effettivamente prestate. Prende sempre più piede la “terza via”: né autonomo né subordinato, il rider sarebbe un lavoratore etero-organizzato. «La disciplina del dipendente è ormai superata, figuriamoci per un lavoro “mordi e fuggi” come quello del rider che spesso ha altri impieghi», spiega la giuslavorista Marinelli. Sul fronte tutele c’è stato però un piccolo passo in avanti: nel maggio 2018 il comune di Bologna, Riders Union Bologna, i segretari di Cgil, Cisl e Uil e i vertici di Sgnam e Mymenu hanno firmato la “Carta di Bologna”, un primo impegno per permettere che le piattaforme digitali crescano senza che le tutele dei rider diminuiscano. Tutele assicurative, sindacali e un minimo salariale di circa 6 euro l’ora. A questo impegno si è unita, il 22 marzo scorso, Domino’s Pizza, la più grande catena di pizzerie al mondo.

Il modello Domino’s – L’alternativa proposta da Domino’s non è quella del classico rider. In un momento di forte incertezza per i “ciclo-fattorini” quello dell’azienda americana ha il sapore di un ritorno al portapizze vecchia scuola che sa adattarsi ai tempi. I fattorini di Domino’s, che ha già 27 punti vendita in Italia, sono assunti dalla stessa impresa, guidano motorini elettrici aziendali e sono pagati a ore e non a consegna. Alessandro Lazzaroni, amministratore delegato di Domino’s Pizza Italia, spiega: «A differenza dei lavoratori tramite piattaforma, i nostri fattorini hanno prospettive di carriera. Domino’s finanzia il dipendente che vuole crescere e diventare franchisee». E sulla Carta di Bologna commenta: «È un livello minimo di tutele ma non basta. Quella dei rider è una battaglia sociale che deve combattere anche il cliente. Chi, da casa, ordina una margherita che costa 4 euro senza costi di consegna sa benissimo che chi glie la porta verrà pagato pochissimo».

A Milano uno sportello per i rider – La battaglia dei rider non si ferma però alla richiesta di uno stipendio dignitoso. I nuovi lavoratori della gig economy corrono nel traffico cercando di consegnare l’ordine in tempo rischiando non poco. Nel dicembre dello scorso anno a Bari, il 19enne Aberto Piscopo Pollini è morto travolto da un’auto mentre portava con il suo scooter una pizza al cliente. Ma non è il primo. Poi era stata la volta di Francesco Iennaco, un ragazzo di 28 anni, che ha perso una gamba a Milano dopo essere finito sotto un tram. Per evitare che episodi del genere si ripetano, il 18 luglio 2018 ha aperto a Milano il primo sportello diritti e sicurezza dedicato ai rider: corsi che spaziano dalla sicurezza stradale alle principali disposizioni di sicurezza sul lavoro e sulle dotazioni necessarie come caschi omologati e indumenti rifrangenti. Tuttavia, come fanno sapere dall’assessorato alle Politiche del lavoro, il progetto non è decollato: «Dopo un primo periodo di interesse da parte dei ciclofattorini, lo sportello non ha restituito gli esiti di frequentazione sperati». Per questo motivo il comune ha commissionato un lavoro di ricerca all’Università Statale di Milano per incontrare i diretti interessati e individuare i loro identikit e le loro necessità. Nel capoluogo lombardo i rider sono prevalentemente stranieri, in maggioranza tra i 22 e i 30 anni e i loro bisogni sono essenzialmente quattro: formazione sul codice della strada, formazione sulla lingua italiana, assistenza legale e sindacale per i contratti che firmano.