Come si spiega ciò che è successo al Sole 24 Ore e come è cambiata la situazione?
Innanzitutto c’è la crisi del settore. Siamo passati da un’epoca, quella degli anni Novanta e dei primi anni Duemila quando i telefoni venivano bombardati dalle chiamate per la pubblicità, alla situazione odierna. Io sono entrato una decina d’anni fa e in effetti il clima che si respirava era diverso: c’erano progetti nuovi, stage estivi e nuove assunzioni. C’era, insomma, una situazione più aperta al mercato.

E poi cos’è successo?
La mazzata è dovuta a un mix di fattori: in primis la crisi finanziaria, che qui è arrivata nel 2009 e che ha causato il crollo della pubblicità. Da quella situazione non si è più tornati indietro. Se guardiamo al contesto internazionale gli altri quotidiani economico-finanziari hanno retto meglio alla crisi, anche perché hanno un pubblico più specialistico e generalmente più disposto alla spesa. Il paradosso è che al Sole 24 Ore questo non è accaduto.

Perché?
Qui arriviamo al tema della gestione, che i vari comitati di redazione negli anni hanno sempre denunciato: il Sole 24 Ore non è mai stato gestito come un’azienda. E quindi le scelte venivano spesso fatte con logiche più vicine alla politica, come ad esempio la sede, progettata da Renzo Piano, comprata ai tempi della quotazione in Borsa e poi venduta a un prezzo neanche troppo conveniente. Con il risultato che adesso siamo in affitto in questa stessa sede con costi altissimi.

La situazione quando è precipitata?
Il “bubbone” è esploso nell’ultimo anno, anche se da almeno otto il bilancio è sempre stato in rosso. Non sono mai state fatte operazioni di contenimento dei costi, a partire da quelli industriali. Poi a settembre è arrivata la semestrale monstre da 60 milioni di perdite e l’inchiesta della Procura di Milano, ancora in corso, per accertare la veridicità dei bilanci degli anni precedenti. E anche lo storytelling aziendale è cambiato drasticamente. La redazione ha sfiduciato il direttore Napoletano perché lo ritiene corresponsabile della crisi del giornale. Nel frattempo l’ad Del Torchio, arrivato soltanto cinque mesi prima, ha lasciato l’azienda, poi sostituito da Franco Moscetti. Nel 2016 abbiamo visto succedersi tre presidenti della società, tre amministratori delegati, due Cfo, due capi del personale e due consigli di amministrazione.

Come si lavora con un direttore sfiduciato?
C’è inevitabilmente uno scollamento fra le varie componenti della redazione, è questo uno dei problemi più grossi che abbiamo. Ogni progetto di rilancio non risulta credibile e non è sostenuto dalla redazione. Chiediamo di cambiare il direttore per dare un segnale di discontinuità con la gestione che negli ultimi anni ha portato a questo disastro. Sono cambiati l’amministratore delegato e la prima linea dei manager, il direttore invece è rimasto. Vorremmo una figura autorevole e un rilancio digitale serio.

Come hai vissuto personalmente questa situazione?
Tra le tre crisi che hanno investito il Sole (editoriale, crisi degli ultimi 7 anni e crisi dell’ultimo anno), l’ultima è stata la più traumatica. Le prime pagine degli altri giornali su di noi, i cambiamenti dei vertici aziendali e l’accusa di falso in bilancio: tutti i nodi sono venuti al pettine. Da parte della redazione c’è stata la preoccupazione per la costruzione di un futuro di cui ancora non si vedono le basi. Aspettiamo ancora di consultare il piano industriale e chiediamo un vero piano editoriale di rilancio. E poi c’è l’orgoglio ferito di quelle persone che sono qui da tanti anni e che hanno contribuito a fare la storia di questo brand. È davvero avvilente vedere trattato così male un patrimonio di tale portata.