Pietro Labriola, ad Telecom. Foto: Ansa

Tim parlerà americano, ma con accento italiano. Il consiglio di amministrazione ha approvato, con 11 voti favorevoli e 3 contrari, la cessione della rete alla società americana Kohlberg Kravis Roberts (Kkr) per 18,8 miliardi. Rimarrà, però, un presidio politico nazionale grazie alla presenza nel capitale del ministero dell’Economia, della Cassa Depositi e Prestiti e di altre istituzioni bancarie e finaziarie italiane. Il mercato ha reagito con una certa incertezza alla novità: Il titolo, partito in rioalzo, ha finito perdendo l 2,50%. L’azionista di maggioranza di Tim, il gruppo francese Vivendi, ha annunciato azioni legali contro l’operazione, definita «illegale». In mattinata è arrivato il commento alla vicenda del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Abbiamo fatto un’offerta e il cda di Tim l’ha accettata. Adesso ovviamente gli azionisti hanno i loro diritti e li faranno valere nelle sedi opportune però il progetto è quello».

L’operazione-  Le trattative partono da lontano. La prima offerta da parte di Kkr, 20  miliardi, era arrivata a marzo 2023, ma dall’altra parte c’erano Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), già azionista di Tim, e l’australiana Macquarie che avevano messo sul tavolo 18 miliardi. Il primo tentativo si era concluso in un nulla di fatto per entrambi e così gli americani ci hanno riprovato a metà ottobre. Questa volta l’operazione è andata in porto e il consiglio di amministrazione ha approvato, domenica 5 novembre, la cessione della rete di telecomunicazione (quella attraverso cui passano la telefonia fissa e i dati) per 18,8 miliardi a cui dovrebbero aggiungersi altri 3 miliardi se si avvereranno alcuni condizioni previste dal contratto. Gli asset infrastrutturali di Tim, dunque, a eccezione di Sparkle (si occupa di connettività internazionale), confluiranno in una nuova società: la Netco. Questa sarà di proprietà di Kkr (con il 65%), del ministero dell’Economia (20-25%) e in un secondo momento del fondo F2i (10-15%) che fa capo a Cassa Depositi e Prestiti, Intesa San Paolo e Unicredit. È la prima volta che un operatore di telefonia europeo si priva della sua infrastruttura principale.

Le ragioni – L’operazione svuota Tim della sua componente fondamentale, trasformandola in puro fornitori di servizi. Secondo Franco Bernabè, ex numero uno di Telecom: «si tratta di una scelta quasi obbligata. C’è ben poco che si possa fare al punto in cui siamo». L’azienda ha un debito di oltre 21 miliardi e nessun azionista ha mai permesso un aumento di capitale per cercare di ripristinare l’equilibrio patrimoniale. Pietro Labriola, ad di Tim, è positivo sulla trattativa appena conclusa: «Non è la conclusione del nostro percorso ma un nuovo inizio. Con questa operazione, infatti, diamo linfa all’infrastruttura di rete e allo stesso tempo consentiamo alla nuova Tim di focalizzarsi sull’innovazione tecnologica che serve per governare il complesso mercato dei servizi digitali e giocare un ruolo da leader».

I contrari – Il consiglio di amministrazione ha approvato con 11 voti favorevoli e 3 contrari. Tra questi spicca la società francese Vivendi, azionista di maggioranza con il 23,75%, pronta a dare battaglia legale. Secondo Vivendi la decisione del cda di Tim è «illegale», dato che «la cessione dell’intera rete infrastrutturale di Telecom Italia comporta un’ evidente modifica dell’oggetto sociale di Tim che avrebbe necessitato una preventiva modifica dello statuto della società, decisione di competenza dell’assemblea straordinaria». L’acquisto da parte di Kkr non rispetterebbe le norme in materia di operazioni che coinvolgono «parti correlate», cioè i soggetti con una certa influenza su Tim stessa e sulle sue operazioni. Secondo Vivendi la parte correlata sarebbe il ministero dell’Economia, la cui presenza avrebbe richiesto un passaggio in assemblea. Tim, però, dopo alcuni pareri legali, ha escluso il passaggio assembleare.