LA_BORSA_DEL_CIBO22222222222222222

Era l’estate di sei anni fa, quando imparammo a conoscerlo. Prima di allora, soltanto i tecnici di borsa sapevano che cosa fosse lo spread. Ma nel novembre 2011, quando la sua crescita improvvisa in pochi mesi provocò la caduta del governo Berlusconi, quella parola inglese divenne quell’incubo di cui ancora oggi non ci siamo liberati. Il 2 febbraio lo spread è a quota 185, mentre lo scorso 30 gennaio ha toccato i suoi massimi dal 2015, salendo fino a quota 187. Niente a che vedere con i quasi 700 punti raggiunti nell’autunno 2011, ma nemmeno un bel segnale se si considera che il minimo storico di 98 punti toccato nel febbraio 2015 sembra oggi un miraggio.

Cos’è lo spread  È un differenziale, ovvero un indice che misura la differenza tra tassi di interesse. In questo caso, tra il tasso di interesse del Buono del Tesoro italiano (Btp) a 10 anni e il tasso di interesse del corrispettivo titolo di Stato tedesco, il Bund a 10 anni. Se lo spread attuale misura circa 180 punti base, significa che tra i rendimenti dei due titoli c’è una differenza dell’1,8%. Se il Buono del Tesoro rende circa il 2,3%, il Bund tedesco rende l’1,5%. In sostanza, lo spread ci dice quanto ci costa di più come Paese, rispetto alla Germania, andare a cercare sui mercati i soldi che servono allo Stato per il suo fabbisogno. Quanto ci costa indebitarci.

L’ultima risalita  Dopo una lunga tregua, lo spread sta tornando oggi a preoccupare. A partire dal 2012, anche grazie alle famose parole del Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi a difesa dell’Euro («Faremo tutto ciò che è necessario per salvare la moneta unica»), il differenziale Btp-Bund è sceso in modo costante. L’implementazione del fondo salva-stati (Esm) e il collegato programma di acquisto di titoli di Stato (Omt) dei Paesi in difficoltà hanno svolto una forte azione deterrente alla speculazione sui mercati e hanno in parte risolto la crisi dei debiti sovrani europei. Ma dagli ultimi mesi dello scorso anno, lo spread è tornato a salire. E ci sono varie ragioni. La prima è legata alla situazione di incertezza politica che si vive in Italia e che tanto spaventa i mercati. Chi si propone di prestare soldi a un Paese, lo fa ad alcune garanzie se è politicamente stabile (la Germania, ad esempio), ad altre (chiede un rendimento più alto) se non c’è continuità di governo. È il caso dell’Italia, che ha cambiato governo dopo il referendum dello scorso 4 dicembre e che dopo la decisione della Corte Costituzionale sulla legge elettorale vede il voto avvicinarsi sempre più, forse già a metà di quest’anno.

Incertezza economica e conti pubblici  Ma non c’è soltanto l’incertezza politica a riportare in alto lo spread. Anche sul fronte economico, il Paese non ha dimostrato finora di aver imboccato il sentiero di una crescita solida e questo non è un punto a favore sui mercati. Così come non lo è lo stato di salute della finanza pubblica italiana: lo dimostra il contenzioso in corso con l’Unione Europea su uno 0,2% (3,2 miliardi) in più o in meno nella manovra. L’unico elemento positivo sono le parole contenute in una nota della Bce pubblicata la mattina del 2 febbraio: «I tassi d’interesse nell’Eurozona resteranno ai livelli attuali, o inferiori, per un prolungato periodo di tempo e il quantitative easing continuerà sino alla fine di dicembre 2017 o anche oltre se necessario». Il quantitative easing è l’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, la procedura che permette ai rendimenti dei titoli dei Paesi più a rischio di non raggiungere livelli allarmanti. Lo spread si sta alzando, ma finché resterà aperto l’ombrello della Banca centrale non potrà tornare ai livelli del 2011.