Donald Trump affossa il settore dell’automotive straniero, soprattutto quello europeo. Mercoledì 26 marzo, a poche ore dalla chiusura del mercato americano, il presidente degli Stati Uniti ha annunciato i dazi del 25% su tutte le auto prodotte all’estero. Le indiscrezioni hanno causato le reazioni negative dei mercati, con le Borse asiatiche ed europee fortemente sotto pressione. Comunque, anche Wall Street ha chiuso in rosso ancor prima dell’annuncio ufficiale: l’indice S&P 500 ha ceduto l’1,1%, Nasdaq è in calo del 2%, General Motors del 3% e Tesla del 6%. L’effetto boomerang sull’economia americana non è da escludere: per questo motivo Trump si è mostrato più flessibile rispetto alle scorse uscite. Per il momento i dazi sono limitati ai veicoli finiti e escludono la componentistica.
Le Borse – Già nella notte italiana il mercato asiatico aveva reagito negativamente alle anticipazioni: la Borsa di Tokyo ha chiuso la sessione in calo del -0,60%. A pesare i titoli di Toyota (-2%), Honda (-2,5%) e Nissan (-1,7%). Da parte loro le borse europee dimostrano maggiore debolezza e il settore dell’auto subisce un colpo durissimo: a Milano Stellantis (-4,12%) crolla a 10,7 euro per azione, in calo anche Ferrari (-0,91%). A Parigi colpite Renault (-1,73%) e Michelin (-0,9%), a Francoforte non si salva nessuno: Porsche cede il 3,18%, Mercedes Benz il 3,55%, Volkswagen il 4% e Bmw il 4,34%. Secondo Bloomberg, l’impatto costerebbe a Porsche e Mercedes fino a 3,7 miliardi di euro. Potrebbe essere un punto di non ritorno per il settore automobilistico europeo, già da tempo in crisi. In quest’ottica va letto l’intervento della Ministra tedesca dell’ambiente Steffi Lemke, che al Consiglio Ue Ambiente ha chiesto unità di intenti sulla transizione all’elettrico, per non creare ulteriore incertezza e stabilizzare la fiducia nei mercati.
Arma a doppio taglio – Le tariffe saranno permanenti e scatteranno a partire dal 2 aprile, data definita dal Potus come “giorno della liberazione” (liberation day) in cui inizieranno i dazi reciproci nei confronti dei “Dirty 15”. Questi sarebbero i paesi considerati concorrenti sleali da Trump. Tra loro Cina, l’Europa dell’Eurozona, Giappone, Corea del Sud, Canada, Messico e Brasile.
L’obiettivo di Trump è stimolare la produzione nazionale, specialmente per quanto riguarda l’assemblaggio finale, e attirare i produttori stranieri a stabilire gli impianti negli Usa. Come riportato da Milano Finanza, «da queste misure il tycoon si aspetta un guadagno da 600 milioni a un trilione di dollari in due anni. Quasi la metà di tutti i veicoli venduti negli Stati Uniti è importata come quasi il 60% delle parti di ricambio. Solo nel 2024 gli Stati Uniti hanno importato prodotti automobilistici per un valore di 474 miliardi di dollari, tra cui autovetture per un valore di 220 miliardi». Nonostante l’ottimismo di Trump, i dazi potrebbero generare un effetto boomerang e danneggiare gli stessi Stati Uniti con costi in aumento per i consumatori yankee. Le stesso Elon Musk, braccio destro di Trump, guarda con preoccupazione alla manovra. In un post sul suo social X ha dichiarato: «influirà sul prezzo delle parti delle auto Tesla che provengono da altri Paesi. L’impatto sui costi non è banale». Sulla stessa lunghezza d’onda Sigrid De Vries, direttore generale dell’associazione europea dell’industria delle auto (Acea), che intervistato da Ansa ha commentato: «I dazi non incideranno solo sulle importazioni negli Stati Uniti, ma anche sulle case automobilistiche che producono auto negli Usa».