Tra le centinaia di provvedimenti firmati da Donald Trump nelle prime ore di mandato non ci sono ancora i temuti dazi contro l’Unione europea, ma lo scoppio della battaglia commerciale tra i due partner storici sembra comunque vicino. L’Ue «sarà soggetta a dazi. Ci hanno trattato male. Se non fai così, non si ottiene giustizia», ha affermato Trump a poche ore dall’insediamento, riferendosi al deficit commerciale tra Stati Uniti e vecchio continente, quantificato dal tycoon in 350 miliardi di dollari. Il commissario per l’economia Ue Valdis Dombrovskis ha commentato le parole del presidente americano definendole «fake news», ma affermando che «se sarà necessario siamo pronti a rispondere in modo proporzionato, come abbiamo già fatto». Il riferimento è all’ultimo anno di presidenza del primo mandato di Trump, il 2020, quando in ritorsione ai dazi americani l’Unione europea aumentò l’aliquota su alcuni beni americani, abbigliamento, veicoli a motore, grano e formaggi, del 25% e del 20% sui prodotti aeronautici.

I dati dell’interscambio – La bilancia commerciale pende effettivamente in favore dell’Unione europea per quanto riguarda lo scambio di merci: stando agli ultimi dati disponibili del 2023, se l’Ue esporta beni per un valore di circa 500 miliardi di euro, l’importazione di beni dagli Stati Uniti ammonta a soli 346 miliardi. I Paesi che contribuiscono di più all’export europeo sono Germania e Italia, con rispettivamente 158 e 67 miliardi di euro.  La situazione è però opposta per quanto riguarda il valore dei servizi scambiati tra i due partner: i servizi esportati dall’Ue valgono circa 290 miliardi di euro, mentre quelli statunitensi quasi 400 miliardi. La differenza nella bilancia commerciale totale si ridurrebbe quindi a una cinquantina di miliardi in favore dell’Unione europea, ben distante dai 350 miliardi evocati da Trump.

Effetti e motivazioni – Trump ha più volte prospettato in campagna elettorale un aumento tra il 10 e il 20% dei dazi verso l’Ue. Non ha però specificato se si tratta di aumenti generalizzati o su specifici settori, o addirittura Paesi. Nell’ultimo caso gli stati con un rapporto migliore con il tycoon potrebbero ricevere un trattamento di favore. Alcuni studi hanno ipotizzato scenari basati sull’aumento generalizzato dei tassi. Quello di Fitch, per esempio, ha evidenziato come un aumento del 10% ridurrebbe il Pil tedesco dello 0,3%, quello italiano dell’0,23%, quello francese dello 0,17%. Con il parallelo aumento dei dazi da parte europea, entrambi i partner subirebbero una crescita dell’inflazione e, di conseguenza, dei tassi di interesse. Al di là delle ipotesi sui dazi, Trump potrebbe aver assunto un atteggiamento aggressivo – compreso l’utilizzo di dati gonfiati – perseguendo una strategia solita nelle negoziazioni da lui condotte: puntare in alto per ottenere un risultato più ragionevole. Una contropartita che potrebbe riguardare l’acquisto di più prodotti americani – o materie prime, come gas liquefatto – oppure una contribuzione maggiore alle spese della Nato, un altro degli argomenti più volte citati da Trump nei suoi annunci.

Reazioni europee – La presidente della Bce, Christine Lagarde ha finora mantenuto un atteggiamento conciliante, sostenendo che una guerra commerciale dannosa per entrambi i partner potrebbe essere evitata «comprando americano». Ha comunque sostenuto che «l’Europa è pronta ai dazi» e che l’inflazione sarà più un problema per la Fed, la Banca centrale statunitense, che per la Bce. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato: «La nostra priorità assoluta sarà quella di impegnarci nel dialogo senza indugio, di esaminare quali sono i nostri interessi comuni e di prepararci a negoziare», senza specificare ulteriori provvedimenti, se non un’intensificazione degli scambi con altri partner globali, come Cina e India. Le misure dell’eventuale ritorsione europea non sono invece note al momento. A riguardo il ministro per il commercio estero francese Laurent Saint-Martin ha richiesto «maggiore preparazione».