Impianto petrolifero
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Dopo quello americano di fine febbraio 2022, il 5 dicembre è scattato l’embargo europeo al petrolio russo. Non solo: il Consiglio dell’Unione europea ha anche imposto un tetto massimo al prezzo del greggio pari a 60 dollari al barile. L’obiettivo è sempre lo stesso: impedire che la Russia possa finanziare la sua invasione dell’UIcraina. Purtroppo, però, la decisione ha conseguenze anche per l’Italia e in particolare per una delle sue più grandi raffinerie, l’ISAB di Priolo.

Embargo e price cap – Il primo embargo è stato voluto da Stati Uniti e Gran Bretagna che hanno smesso di acquistare il petrolio dalla Russia. Non è stata un’interruzione immediata, ma graduale anche se i due Paesi prevedono l’embargo completo entro la fine dell’anno. Le ricadute economiche sulla Russia non sono state quelle sperate: Mosca non ha subito gravi danni e ha spostato l’export verso altri Paesi, come Cina, India e Turchia. Per questo motivo l’embargo europeo è fondamentale.
Quanto al price cap di 60 dollari per barile, significa che il greggio proveniente dalla Russia può essere spedito via mare a Paesi terzi (extra europei) solo con navi europee e del G7 e a un prezzo non superiore a quello fissato. L’Opec (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) è scettica sul tetto ma per ora ha deciso di non intervenire e aspettarte di vedere cosa succede al commercio russo dopo le sanzioni.

Le risposte della Russia –  Dopo la decsione di Bruxelles, Dmitry Peskov, il portavoce del Cremlino, ha dichiarato che misure come il price cap sul petrolio «non influenzeranno» l’andamento dell’operazione militare in Ucraina. Aggiunge che una risposta a queste sanzioni è in preparazione. Inoltre, il Cremlino afferma che venderà i prodotti petroliferi solamente ai Paesi che lavoreranno con Mosca alle sue condizioni, anche se potrebbero esserci diminuzioni della produzione.

Priolo
– La raffineria ISAB di Priolo (SR), parte del gruppo Lukoil, la più grande compagnia petrolifera russa, è stata fortemente colpita dall’embargo statunitense, ma ha continuato a produrre ricevendo il greggio dalla Russia, raffinandolo in Sicilia ed esportandolo in America. Da oggi non potrà più compiere questa operazione a causa dell’embargo europeo. Il rischio? La chiusura della raffineria che da sola produce il 53% del Pil della provincia di Siracusa e il licenziamento di 10mila lavoratori. Il governo italiano ha deciso quindi di commissariare l’azienda, che verrà gestita temporaneamente dallo Stato per il tempo necessario all’individuazione di un compratore. Il petrolio da raffinare dovrà però essere il più simile possibile a quello russo perché gli impianti sono stati costruiti per la qualità Ural.