Il Patto di stabilità e crescita dovrebbe restare sospeso anche nel 2022. È questa l’indicazione che filtra dalla Commissione Europea e che dovrebbe resa ufficiale entro maggio. Paolo Gentiloni, commissario all’Economia, è riuscito a far valere la sua linea. «La clausola di salvaguardia generale rimarrebbe attiva e verrà disattivata nel 2023», ha dichiarato al Corriere della Sera Valdis Dombrovskis, il vice-presidente della Commissione, sottolineando però che, «i Paesi ad alto debito devono, quando sarà possibile migliorare la situazione».

Valdis Dombrovskis

Il Patto – Insomma anche per quest’anno, secondo dell’emergenza Covid, sarà possibile spendere senza preoccuparsi troppo della crescita dell’indebitamento, come invece prescrivono le regole europee. Il Patto di stabilità e crescita è un accordo internazionale stipulato per la prima volta nel 1997 da tutti i Paesi membri dell’UE. Riguarda il controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche e ha come fine quello di mantenere saldi i requisiti di adesione all’Eurozona (l’Unione economica e monetaria dell’Unione Europea). Ogni Stato deve avere un deficit pubblico (le uscite superano le entrate, ovvero il bilancio è negativo) non superiore al 3 per cento del PIL e un debito pubblico (il debito di uno Stato nei confronti di altri soggetti economici) al di sotto del 60 per cento.

La decisione – L’ufficialità dovrebbe arrivare a maggio, quando la Commissione avrà sottomano la pubblicazione delle previsioni macroeconomiche di primavera e avrà ascoltato i governi. A causa della pandemia da Covid-19 deficit e debito pubblico sono cresciuti in tutti i Paesi dell’Unione Europea. A farne le spese sono state in particolare quelle nazioni che già vivevano una situazione critica, come l’Italia. «La battaglia contro il Covid-19 non è ancora vinta e dobbiamo fare in modo di non ripetere gli errori di dieci anni fa ritirando il sostegno troppo presto», ha ricordato Gentiloni. L’ex presidente del Consiglio italiano, sostenuto dalla Francia e dagli altri stati membri più colpiti dalla crisi, ha fatto prevalere la sua posizione e ha precisato che, per quanto riguarda le procedure per i disavanzi eccessivi, la decisione sarà quella di «non aprire procedure considerando l’elevata incertezza ancora prevalente».

Paolo Gentiloni

Debito buono e cattivo – Secondo Gentiloni, l’adozione del Recovery fund non è sufficiente. È necessaria una vera e propria revisione del Patto di stabilità, «Quando terminerà la fase di sospensione, gli Stati si ritroveranno con un debito monstre sulle spalle che non potrà essere gestito dalla ferrea regola che lo fissa al 60 per cento nel rapporto col PIL». Le discussioni sulle modifiche da adottare dovrebbero cominciare il prossimo autunno e lo stesso Dombrovskis ha riconosciuto la necessità di «semplificare le regole». Una delle idee di Gentiloni, che in questo riecheggia uno dei mantra di Mario Draghi, è la distinzione tra “debito buono” e “debito inesigibile o cattivo”: il primo è quello che serve per finanziare investimenti in  ricerca, istruzione, infrastrutture e sanità; il secondo è quello usato per fronteggiare la spesa corrente ed è inutile ad aumentare il potenziale di crescita. «Non solo criteri quantitativi, ma regole con base discrezionale».

Ripresa – L’invito della Commissione Europea è di mantenere politiche espansive anche per il 2022. Allo stesso tempo, Dombrovskis ha raccomandato ai Paesi con alto debito di fare attenzione al «medio termine», una prospettiva temporale all’incirca di cinque anni all’interno della quale è possibile che vi possano essere variazioni nel mercato del lavoro. «Evitare di caricare i conti di spese permanenti – ha proseguito il vicepresidente – servono misure mirate e temporanee». L’invito ai governi è di usare le sovvenzioni del Recovery Plan per il finanziamento di progetti che permettano una ripresa della crescita del PIL, senza però far salire la spesa, avviando una decrescita del debito. «Per il 2022, è chiaro che il sostegno fiscale sarà comunque necessario – ha sottolineato Gentiloni – meglio sbagliare facendo troppo piuttosto che troppo poco».