“Ce lo chiede l’Europa” è la frase più evocata quando si parla di tagli alla spesa e obblighi di bilancio. È anche una delle ragioni per cui la sfiducia nei confronti dell’euro aumenta sempre di più. È una delle poche frasi che rappresentano il legame tra la Banca centrale europea e l’economia reale. Finora è stato riassunto con due parole: rigore e austerità. Ovvero: mantenere il deficit al di sotto del 3% e attuare tagli alla spesa pubblica al fine di pareggiare il rapporto debito/pil.

Ma uno studio della Commissione europea sembra smentire l’efficacia di queste politiche. O almeno dimostrerebbe che l’Unione Europea non ha una visione univoca sul tema. La ricerca è dell’economista olandese Jan In ‘T Veld, che ha dimostrato “con una montagna di prove” (almeno secondo il giornale Libération, che ne ha parlato nell’edizione del 21 novembre) che i costi del rigore sarebbero stati “ampiamente sottovalutati”. Insieme ai tagli alla spesa, hanno ridotto la capacità degli Stati di reagire alla crisi economica. Hanno fatto calare il Pil e aumentare il debito dei singoli Stati, anche in termini assoluti. Così sono aumentate tasse e disoccupazione.

L’impatto è stato più forte sui Paesi periferici della zona euro, più deboli dal punto di vista economico. Soprattutto per loro il rigore – così com’è stato interpretato finora – non funziona. Quello che tanti esperti ripetono da tempo.

Veld mostra anche che sono anche i tagli alla spesa fatti nei Paesi virtuosi – Germania in testa – a trascinare verso il basso l’economia della periferia della zona euro. La soluzione, per Veld, sarebbe stata: aumentare le tasse nei Paesi forti, anziché imporre tagli, e riequilibrare così la competitività interna dell’eurozona.

La crisi non andava affrontata in modo “simmetrico”, spiega l’economista, ma con misure diverse in base alla forza dell’economia dei singoli Paesi. “Invece le politiche di consolidamento dei bilanci sono state imposte senza distinzione: ciò causerà ricadute negative per le economie virtuose e ha fatto aumentare il debito negli Stati periferici”.

Serviva un altro tipo di austerità: aumentare le tasse prima e in modo progressivo, senza imporre da subito tagli alla spesa. Così gli effetti sull’economia reale sarebbero stati meno gravi.

Vincenzo Scagliarini