“Serve un nuovo miracolo italiano”. Lo afferma oggi il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, proprio mentre Unioncamere annuncia che nel 2012 hanno chiuso i battenti quasi 365mila imprese, virtualmente una ogni due minuti. Considerando che nell’anno appena trascorso ne sono nate 383.883, restano 18.911 unità (6.093.158 togliendo quelle non operative da più di tre anni). È un peggioramento netto rispetto al 2011: la demografia aziendale parla di 24 mila chiusure in più e più di 7 mila aperture in meno, dati molto vicini al 2009, il picco della crisi.

A preoccupare non sono tanto le liquidazioni – su questi livelli anche nel 2007 e 2008 – quanto le mancate sostituzioni con nuove attività: allora la crescita segnava +0,75% e +0,59%, oggi solo +0,31%. Chi ha contribuito al saldo positivo sono soprattutto giovani sotto i 35 anni, immigrati e donne, attivi nei settori del turismo e del commercio oltre che dei servizi a imprese e persone. Gli ambiti più colpiti del 2012, invece, sono quelli più tradizionali: il manifatturiero (-6.515 imprese), le costruzioni (-7.427) e l’agricoltura (-16.791), a cui si aggiunge anche un calo del 38,1% anche nell’estrazione di minerali nelle cave e nelle miniere (hanno chiuso 112 di queste attività, il che equivale ad una riduzione dello stock nel settore del 2,3%). Dal punto di vista geografico la maggior parte delle chiusure si registra al Nord, più industrializzato, che ha perso quasi 5 mila aziende solo nel Nord-Est e altre mille nell’Ovest (esclusa la Lombardia).

I dati non stupiscono il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, che ha sottolineato le difficoltà in cui le nostre imprese versano da anni. Molte hanno tenuto duro «anche in assenza di vere politiche di sostegno». La speranza per il 2013, in vista delle prossime elezioni di febbraio, è una maggior attenzione da parte del governo: «Il tempo è scaduto – ammonisce –, tra poco la politica avrà di nuovo in mano le sorti del Paese e deve sapere che l’obiettivo primo e urgente dell’agenda deve essere quello di rimettere al centro della sua azione l’impresa, da cui dipende il lavoro».

Eva Alberti