Secondo quanto riportato dal New York Times, Pechino bloccato l’esportazione delle cosiddette terre rare verso l’occidente. In particolare si tratta di sei metalli pesanti raffinati in Cina, e di magneti in terre rare, prodotti al 90 per cento dal Dragone. Le relative spedizioni all’estero possono avvenire solo con licenze speciali, ancora in corso di definizione. Il problema sono le dimensioni delle scorte occidentali per fare fronte alle emergenze, che variano notevolmente da azienda ad azienda. La scelta cinese avviene dodici giorni dopo il “Liberation Day”, ovvero il giorno in cui Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo relativo ai dazi verso la maggioranza dei paesi che commerciano con gli Stati Uniti.
Dazio io, dazi tu, dazi tutti – Per fare il punto della situazione occorre partire dalla base: che cosa sono i dazi annunciati alla Casa Bianca lo scorso 2 aprile? I dazi sono un’imposta che si applica alle merci importate nel paese che li ha imposti con l’obiettivo di renderle più care, e favorire in questo modo l’industria nazionale. Lo scopo del presidente è incentivare la produzione interna e colpire i paesi nei cui confronti gli Usa hanno un disavanzo della bilancia commerciale. Secondo quasi tutti gli economisti, il calcolo delle percentuali applicate a ogni singolo paese (come spiegavamo in un precedente articolo) è stato artificioso. I conteggi sono basati sul deficit commerciale – ovvero la differenza tra quanto un paese esporta e importa – e hanno generato tariffe aggiuntive per tutti quegli stati con un surplus verso gli Usa, così da pareggiare la bilancia commerciale. Un’operazione quanto meno dubbia, che ha scatenato le reazioni mondiali, soprattutto quelle cinesi.
Ordine e disordine – Fatto chiarezza sull’oggetto del contendere, facciamo ordine su questi primi dodici giorni.
Mercoledì 2 aprile Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che prevedeva l’attivazione per sabato 5 aprile di dazi al 10 per cento verso ogni partner commerciale statunitense. Nel discorso di presentazione il presidente ha aggiunto che il 9 aprile, una settimana dopo l’annuncio, sarebbero entrati in vigore anche i dazi supplementari.
Due giorni più tardi, venerdì 4 aprile, è arrivata la prima risposta della Cina che ha emanato dazi di pari entità – 34 per cento – nei conforti degli Stati Uniti, con entrata in vigore prevista il 10 aprile. Una mossa che ha posto i due paesi in rapporto diverso rispetto alla guerra commerciale portata avanti da Donald Trump durante il suo primo mandato. Nel quadriennio 2017-2021 la Cina cercò di dialogare con gli Stati Uniti, mentre oggi lo scontro è ormai in corso.
Sabato 5 aprile i dazi “reciproci” al 10 per cento di Donald Trump entrano in vigore, mentre il leader repubblicano si trovava in Florida per giocare a golf. Nel frattempo, le borse hanno continuato ad andare malissimo, con cadute verticali di oltre sei punti percentuali.
Lunedi 7 aprile alla riapertura sui mercati azionari sono continuate le perdite. Donald Trump ha risposto ai contro dazi cinesi, dichiarando che, qualora Pechino non avesse ritrattato, avrebbe aumentato i dazi nei confronti del Dragone di un altro 50 per cento.
Perché tutto questo? – Mercoledì’ 9 aprile sono entrati infine in vigore i dazi supplementari previsti nel discorso del “Liberation Day” della settimana precedente. La Cina è stata il paese più penalizzato, perché Trump ha aggiunto un ulteriore 50 per cento ai dazi originali, arrivando all’84 per cento. Se a questo aggiungiamo anche le misure approvate nei mesi e negli anni precedenti, i dazi contro la Cina già superavano il cento per cento.
Le ragioni per cui i dazi verso la Cina sono così pesanti stanno nel deficit commerciale tra i due paesi: nonostante la Cina sia il più importante partner commerciale degli Usa, rappresenta anche il paese con cui gli Stati Uniti hanno il deficit maggiore. Nel 2024 Cina e Stati Uniti si sono scambiati 582 miliardi di dollari: 143 miliardi le esportazioni Usa, 439 quelle cinesi, che portano a una differenza di circa 295 miliardi. Secondo Trump, questo numero sarebbe la prova che l’economia cinese si sta approfittando di quella statunitense. L’imposizione dei dazi servirebbe quindi a riequilibrare i commerci tra i due paesi. Lo stesso mercoledì 9 aprile la Cina comunicava che il giorno successivo avrebbe aumentato proporzionalmente i propri dazi verso gli Stati Uniti. Uno scontro che ha incrementato le perdite in borsa e portato Trump a sospendere i dazi per novanta giorni, per tutti meno che per la Cina, rialzati fino al 125 per cento.
Il 10 aprile è il giorno dell’entrata in vigore delle misure cinesi all’84 per cento verso gli Stati Uniti e del rimbalzo delle borse dovuto alla sospensione temporanea dei dazi. La Casa Bianca, non soddisfatta, ha ricalcolato il disavanzo tra la propria economia e quella cinese, e comunicato che i dazi sarebbero cambiati di nuovo: aggiungendo anche quelli imposti nei mesi precedenti: la percentuale definitiva raggiunta è il 145 per cento, con un blocco di fatto del commercio tra i due paesi.
Venerdi 11 aprile anche la Cina ha portato anche i propri dazi verso gli Stati Uniti al 125 per cento. Nel frattempo il dollaro è sceso ai minimi da tre anni (rispetto all’euro) e i titoli di stato americani sono crollati.
L’escalation non si è arrestata nemmeno negli ultimi due giorni: prima l’America ha annunciato che smartphone e pc (oltre ad altri prodotti elettronici) sarebbero stati esclusi dai dazi, anche perchè si tratta in larga parte di prodotti di aziende americane riesportati in Usa. Poi, per tutta risposta, Pechino, come abbiamo detto, il 14 aprile ha bloccato l’esportazione di terre rare verso l’occidente. ,Così, per ora, il circolo sembra chiuso. Ma non è detto.