Susan Wojcicki al World Economic Forum di Davos (Fonte: Flickr)

«È il momento giusto per me». Con questa frase hanno annunciato le proprie dimissioni sia Marne Levine, Chief Business Officer di Meta, e Susan Wojcicki. Quest’ultima ha rilasciato una dichiarazione in cui ha spiegato di lasciare la guida di Youtube dopo nove anni come CEO. Nel post dell’annuncio, la manager motiva la scelta con il desiderio di cominciare un nuovo capitolo della propria vita concentrandosi sulla famiglia, la salute e dei «progetti personali che mi appassionano».

Non solo un patrimonio personale di 765 milioni di dollari. Wojcicki è stata una figura fondamentale per la crescita di Google, in cui è entrata già nel 1999 quando i fondatori Larry Page e Sergey Brin avevano appena creato il primo ufficio dentro un garage. Nel suo lavoro per il colosso della tecnologia ha potuto mettere la propria firma su alcune pietre miliari come la ricerca delle immagini sul motore di ricerca, la creazione del servizio di banner pubblicitari AdSense e il processo di acquisizione di Youtube, di cui è diventata poi Chief Executive Officer.

A due mesi dall’inizio del 2023, già due donne leader hanno annunciato di volere lasciare la politica: Jacinda Ardern e Nicola Sturgeon, premier rispettivamente della Nuova Zelanda e della Scozia, hanno abbandonato la propria posizione di leadership dichiarando di essere alla ricerca di un benessere che il proprio ruolo non consente. Non solo leadership politica, ma anche nel mondo delle aziende. Le dimissioni di Wojcicki arrivano in un periodo difficile per il mondo della tecnologia: da un lato la Great Resignation, un fenomeno mondiale che ha portato a migliaia di dimissioni da parte di lavoratori che hanno privilegiato la qualità della vita rispetto alla carriera professionale; dall’altro i massivi licenziamenti che hanno coinvolto aziende come Amazon, Microsoft, Spotify e Zoom.

Non solo Youtube – Pochi giorni prima dall’annuncio di Wojcicki, anche da Meta era arrivato un altro addio: Marne Levine, Chief Business Officer, ha annunciato le proprie dimissioni dopo 13 anni all’interno dell’azienda fondata da Mark Zuckerber. Un curriculum blasonato: vicepresidente della Global Public Policy e poi Chief Operation Officer di Facebook, prima di assumere l’ultimo ruolo che sta lasciando per allontanarsi dall’azienda.

Non è una novità nella leadership femminile. Già negli anni passati ci sono stati diversi nomi in rosa ad avere lasciato le grandi aziende tecnologiche. Nel 2017 Marissa Mayer, amministratrice delegata di Yahoo. L’anno dopo Meg Whitman, amministratrice di HP, lascia la guida. In piena pandemia, Ginni Rometty abbandona l’incarico di CEO di Ibm dopo quarant’anni nell’azienda. L’anno scorso ha rassegnato le proprie dimissioni anche Sheryl Sandberg, Chief Operating Officer di Meta.

Sheryl Sandeberg al World Economic Forum (Fonte: Wikimedia Commons)

Quest’ultima ha commentato l’apparente eccezionalità delle quote rosa nelle dimissioni: «Il problema non sono le donne che abbandonano, ma che siamo in poche», ha dichiarato Sandberg in un’intervista a Bloomberg. «Nessuno scrive articoli su uomini che lasciano le proprie posizioni di leadership. Proprio perché ci sono così poche donne in ruoli di leadership, è degno di nota quando succede. Dobbiamo rendere ordinario lo straordinario».

Il report – È uno studio condotto da McKinsey e Lean In a evidenziare al criticità delle dimissioni femminili e la mancanza di donne in ruoli di leadership all’interno delle aziende. Con un campione di 333 compagnie e 40 mila dipendenti intervistati, il report mostra che solo una persona su quattro è una donna nel top management. Inoltre, ogni 100 uomini che fanno carriera arrivando il ruoli dirigenziali, solo 87 donne riescono a compiere lo stesso percorso. Nel report spicca il dato delle dimissioni: per ogni donna che riesce ad arrivare alla leadership, due decisono di lasciare. Questro si vede soprattutto nel 2021, l’anno con la maggiore percentuale di dimissioni femminili per le manager.

Secondo lo studio, diverse cause concorrono a rendere accidentata la carriera delle donne manager, fra cui microaggressioni e il mancato riconoscimento dei meriti lavorativi. A peggiorare la situazione, quasi due terzi delle donne sono favorevoli al lavoro da remoto per trovare un equilibrio fra lavoro in azienda e il carico familiare che subiscono in percentuale nettamente maggiore rispetto alla controparte maschile. Ciò nonostante, una parte delle aziende sta abbandonando l’opzione del remote working a favore di un rientro dentro gli uffici.