I simpatizzanti leghisti accendono i fumogeni all’arrivo di Salvini (Foto di Sara Bichicchi)

Sabato 28 gennaio, ore 15. A Milano il traffico su via Manzoni è bloccato, un gruppo di fan ha occupato la strada per esibire uno striscione di supporto al loro beniamino, mentre altri esultano accendendo fumogeni verdi e bianchi. Ai lati della strada, la polizia vigila sulla scena per assicurarsi che non si verifichino disordini. Non ci troviamo di fronte ai festeggiamenti per il trionfo di una squadra di calcio locale, bensì allo scenografico benvenuto leghista riservato a Matteo Salvini, segretario federale della Lega, tornato nella sua città per sostenere la candidatura di Attilio Fontana alla presidenza di Regione Lombardia.
Al suo arrivo, Salvini si mette davanti allo striscione, al centro, sorride alle telecamere e poi corre a passo svelto verso il teatro Manzoni, dove il “popolo della Lega” lo accoglie tributandogli un applauso. È quindi la volta dell’ingresso dei ministri del Carroccio, che sfilano compatti in direzione della prima fila, dove prendono posto ai lati del segretario. Dalla galleria i militanti sventolano le bandiere del partito, della Regione e uno striscione con lo slogan “Autonomia unica via”: la kermesse può iniziare.

Il pubblico in sala al Teatro Manzoni (Foto di Matteo Negri)

Lapsus – Sul palco sale Fabrizio Cecchetti, coordinatore lombardo presentato da Silvia Sardone – forse in preda a un lapsus secessionista – come segretario nazionale: «Mi stanno comunicando che hanno chiuso le porte perché non si poteva più entrare». La sala è effettivamente al completo, l’età media è di 50- 60 anni. Nelle prime file si concentrano i fan più entusiasti: tra di loro, una signora sulla novantina è munita di mascherina FFP2, che non rinuncia però a togliere quando vuole urlare il suo apprezzamento all’oratore di turno.
«Venendo qui in macchina ho visto i manifesti dei nostri avversari, che dicono che “è l’ora di cambiare”. Ma io mi chiedo: cambiare che cosa?», sono le parole del capogruppo alla Camera Riccardo Molinari prima di elencare tutti i pregi della Lombardia e del suo capoluogo. Lo segue il suo omologo al Senato, Massimiliano Romeo, ultimo a intervenire prima del dibattito tra i ministri. Dopo essersi scagliato contro la lentezza degli impiegati pubblici – ritornati al lavoro grazie alle pressioni del ministro Salvini – eccolo sfoderare uno slogan di sicuro successo: «Sono lombardo, voto lombardo».

Il clou – È finalmente arrivato il momento che tutti aspettavano: Salvini e Fontana salgono sul palco, accompagnati dai ministri leghisti del governo. Il giornalista Federico Novella, che modera l’incontro, invita Alessandra Locatelli, in quanto «la donna», a sedersi al centro: il quadro è pronto. Il trascinatore di folle è Roberto Calderoli, delegato all’Autonomia, il vero tema di cui i leghisti vogliono sentire parlare. Calderoli ripercorre le tappe percorse negli ultimi giorni: «Finalmente è tornato a casa Lassie, dopo che ero stato in Campania, in Calabria e in Sicilia». Risate generali. Ma il ministro spiega: «Sento qualche mal di pancia quando dico queste cose, ma se vogliamo che il Parlamento approvi l’autonomia dobbiamo convincere anche il Sud». Il pubblico si mantiene tiepido mentre il ministro spiega i vantaggi che una regione come la Calabria potrebbe ottenere dall’autonomia in campo energetico. Ma Calderoli sa come riconquistare l’attenzione e, a chi lo accusa di insistere sull’autonomia per vincere le regionali, replica: «Noi stravinciamo comunque contro uno dei centri sociali» (il riferimento è alla visita di Majorino al Leoncavallo). Il ministro non risparmia frecciatine nemmeno a Meloni: «Dopo 22 anni di attesa, se qualcuno pensa di frenarci…». Non serve concludere la frase, il pubblico lo inonda di applausi.

Il termometro della sala torna a scaldarsi quando è il turno di Salvini. Il “capitano” parte forte, tornando sulla polemica del giorno: «Zelensky a Sanremo? Vorrà dire che andrò a teatro, o al cinema». Poi rassicura: «Questo governo andrà avanti per cinque anni, se ne facciano una ragione le redazioni di Repubblica e del Fatto Quotidiano». Tanto basta per far scattare il secondo applauso. Ma la dichiarazione che raccoglie più consensi in sala è quella che riporta in scena il Salvini da combattimento: «Ho scoperto che da cinque anni gli austriaci decidono se i tir dall’Italia possono entrare e a che ora. Ho già chiesto al commissario europeo di aprire una procedura di infrazione, altrimenti andrò io a palettare i tir con targa austriaca che entrano dal Brennero».

Dieci minuti – Il pomeriggio si conclude con l’intervento di Fontana, quasi un ospite nella manifestazione indetta per sostenerlo. A lui sono riservati poco più di dieci minuti, in cui sottolinea i traguardi della sua giunta in opposizione alla «cattiva amministrazione romana» e rivendica di non aver mai vissuto crisi di maggioranza, nonostante da settimane il suo partito viva fibrillazioni in seguito alla scissione del Comitato Nord, l’ala più vicina a Umberto Bossi. Ma ormai i presenti sono convinti, alle prossime elezioni confermeranno la loro fiducia in Fontana. Con l’ultimo appello al voto di Salvini parte la musica e il pubblico in sala si avvicina al palco, dove si mette in coda per guadagnare un selfie con il leader. I ministri lasciano invece il teatro, a eccezione di Giuseppe Valditara (Istruzione), raggiunto da un gruppo di insegnanti che chiedono chiarimenti sulla prossima maturità e sugli incrementi di stipendio. Ma nessuna accusa, al contrario la discussione si conclude con una bella foto ricordo. Nel frattempo, in sala suona Dargen D’Amico: comunque vada il 12 e 13 febbraio, per la Lega la Lombardia sarà sempre “dove si balla”.