Un assalto simultaneo e coordinato. È successo il 7 giugno, per la prima volta, a Teheran. Alle 10.30 locali, almeno quattro terroristi vestiti da donna e armati di kalashnikov hanno attaccato il Majlis, il Parlamento iraniano, entrando attraverso l’ingresso per gli uffici. Ma non sono riusciti a raggiungere la Camera dei deputati perché fermati dalle porte elettroniche e dall’intervento delle forze di sicurezza. Uno dei quattro ha fatto poi esplodere la sua cintura di dinamite in un’area affollata dello stabile.
Dieci minuti dopo, alle 10.40, altri due attentatori, con armi automatiche e granate, hanno attaccato uno dei luoghi simbolo per i musulmani sciiti, il mausoleo di Ruhollah Khomeyni, padre della Repubblica Islamica che cambiò il volto dell’Iran nel 1979, anno della rivoluzione che destituì lo Shah, Mohammad Reza Pahlavi. Qui, i terroristi hanno aperto il fuoco sui fedeli. Secondo le prime ricostruzioni, ha fatto parte del commando anche una kamikaze, che si è fatta esplodere.
La rivendicazione dello Stato Islamico – Il bilancio provvisorio è di 17 morti e 46 feriti, alcuni in gravi condizioni ricoverati nei quattro ospedali della capitale iraniana. Lo scambio a fuoco tra forze di sicurezza e terroristi è durato circa cinque ore. Poco dopo gli attacchi, Amaq, l’organo di propaganda di Daesh (denominazione scelta nel 2014 dal Pentagono per designare lo Stato Islamico) ha rivendicato il doppio attentato, mettendo in Rete un video delle operazioni proprio mentre gli atti erano in corso. Secondo alcune fonti, da mesi gli uomini di Abu Bakr Al-Baghdadi avrebbero tentato di penetrare in Iran, unico stato nell’area Medio orientale a mantenere un alto livello di sicurezza.
Gli attentatori – Secondo il ministero dell’Intelligence iraniano, i cinque attentatori erano «da tempo affiliati con il Wahabismo (una forma di Islam conservatore sunnita praticato principalmente in Arabia Saudita, ndr)». I cinque uomini, dopo aver lasciato l’Iran per raggiungere Daesh a Mosul e a Raqqa, sarebbero ritornati lo scorso agosto e fuggiti dopo che la loro cellula era stata scoperta dalle autorità. Il ministero non avrebbe ancora identificato le città di provenienza degli attentatori e non ha precisato come siano riusciti a sfuggire al controllo delle autorità iraniane.
Perché colpire l’Iran – Un’azione dal profondo significato politico. Ma soprattutto religioso, visto che l’Iran è a tutti gli effetti, dal 1979, protettore confessionale dell’Islam sciita, il principale ramo minoritario dell’Islam. Se le ricostruzioni venissero tutte confermate, gli uomini di Daesh avrebbero colpito il Paese degli Ayatollah perché, prima appoggiando il governo sciita di Baghdad e poi entrando in Siria con Hezbollah, avrebbe contenuto l’espansione dello Stato Islamico nei due Paesi. Inoltre, colpendo due luoghi simbolo come il Parlamento e soprattutto la tomba di Khomeini, gli uomini di Al-Baghdadi avrebbero mostrato ancora una volta il loro disprezzo nei confronti di quelli che definiscono rafidun, letteralmente «coloro che hanno rigettato l’ortodossia», termine con il quale i radicali sunniti chiamano gli sciiti.
Il terrorismo venuto dall’Iran – Poche settimane fa, Ali Khamenei, l’attuale Guida Suprema del Paese, aveva ribadito che l’Iran avrebbe saputo impedire allo Stato Islamico di entrare nel territorio. Eppure, secondo alcune ricostruzioni, sembrerebbe essersi affiliato a Daesh un gruppo distaccato del Mko, i Moujahedin del popolo iraniano (conosciuti anche come Esercito di Liberazione nazionale dell’Iran), il principale gruppo di opposizione al regime teocratico, attualmente fuorilegge nel Paese. Due componenti erano stati arrestati a febbraio e il ministro dell’Intelligence, Mahmud Alavi, aveva annunciato che una rete di terroristi islamici (in farsi, tafkirì) era stata identificata e che le forze di sicurezza avevano impedito a centinaia di giovani di arruolarsi nell’esercito di Daesh.
L’arruolamento attraverso Telegram – La propaganda di Daesh, che passa soprattutto via Internet, attira i suoi adepti anche attraverso applicazioni di messaggistica istantanea molto popolari. Come Telegram, molto utilizzato in Iran. Attraverso messaggi immediati, gli jihadisti chiederebbero alla minoranza sunnita del Paese di insorgere contro il dominio sciita. Una propaganda martellante, con l’unica funzione del reclutamento, come dimostrerebbe anche la scelta di Rumiyah, il magazine online di Daesh, di pubblicare un notiziario in farsi.