Linda Brown, la donna divenuta simbolo della lotta contro la segregazione razziale nelle scuole d’America, si è spenta all’età di 76 anni. Consulente per l’educazione e relatrice in numerose conferenze, a nove anni la sua vicenda di ragazzina esclusa da una scuola “per bianchi” del Kansas era diventata un caso nazionale grazie al ricorso alla Corte Suprema presentato dal padre, il reverendo Oliver Brown. La sentenza Brown v. Board of Education che ne derivò avrebbe cambiato per sempre il volto dell’America.

Era l’estate del 1951 quando i genitori di Linda Brown, conosciuta più tardi anche con il nome da sposata di Linda Carol Thompson, decisero di iscriverla ad una scuola estiva a pochi isolati da casa nella città di Topeka. Una richiesta nata più da ragione pratiche che ideali, come confermò anni dopo il padre: la scuola riservata ai bambini di colore frequentata dalla piccola distava chilometri e per raggiungerla Linda doveva costeggiare a lungo i binari della ferrovia e attraversare una strada trafficata. «Nel mio quartiere giocavo con ragazzini ispanici, bianchi, indiani e di colore», raccontò nel 1985 la Brown, ricordando la piena integrazione in cui era cresciuta.

Linda Brown nel 1964 di fronte alla scuola estiva di Topeka simbolo della segregazione razziale (ANSA/AP)

Vittoria civile -Quando la ragazzina fu respinta dall’istituto perché nera, tuttavia, il padre rispose all’umiliazione denunciando la scuola. Combinato con altri quattro ricorsi simili, il caso arrivò presto alla Corte Suprema, a Washington. Una mossa che si sarebbe rivelata decisiva. Con la sentenza, votata col parere unanime dei giurati, la Corte diede ragione a Brown, spazzando via il principio “separati ma uguali” che dal 1896 aveva di fatto giustificato a livello giuridico la segregazione dei bimbi su base razziale nelle scuole americane. La sentenza, che sarebbe stata ricordata come una delle più grandi vittorie legale nella lotta per i diritti civili, diede mandato al governo federale di costringere i singoli Stati dell’Unione ad aprire le scuole, consentendo l’uguale accesso all’educazione. Soltanto un anno più tardi, nel 1955, l’attivista Rosa Parks avrebbe fatto esplodere la questione della segregazione razziale quotidiana con ancor più clamore rifiutando di cedere il posto su un autobus a un bianco, dando così avvio al boicottaggio degli autobus di Montgomery.

Simboli pesanti – «Dopo trent’anni – ricordò ancora Linda Brown nel documentario del 1985 Eyes on the Prize – sento che [il caso] ha davvero avuto un impatto in tutti gli aspetti della vita delle minoranze attraverso il Paese. Credo che abbia reso più grandi i sogni, le speranze e le aspirazioni dei giovani di oggi». La donna, che confessò spesso anche il “peso” di dover rappresentare per tutta la vita un simbolo tanto forte, accreditò sempre il successo della rimozione dello “stigma di non avere opportunità” al padre e alle altre famiglie che portarono i casi di fronte alla Corte.

«Sessantaquattro anni fa una ragazzina di Topeka sollevò un caso che avrebbe messo fine alla segregazione nelle scuole pubbliche d’America», ha scritto in un tweet il governatore del Kansas Jeff Colyer. «La storia di Linda Brown ci ricorda che a volte le persone più inaspettate possono avere un impatto incredibile e che servendo le nostre comunità possiamo realmente cambiare il mondo».