Un attentato tanto spettacolare quanto sanguinoso all’indomani dell’arrivo a Kabul del segretario di stato USA John Kerry. Sette kamikaze e cinque agenti di polizia sono morti il 25 marzo in un attacco davanti al quartier generale della polizia a Jalalabad, capoluogo della provincia orientale del Nangarhar.

Gli attentatori indossavano uniformi simili a quelle dei caschi blu della Nato e sono così riusciti ad ingannare i servizi di sicurezza. Nella base attaccata alla sede della Forza di intervento provinciale, risiedono vari istruttori della Nato. Il portavoce della provincia Ahmad Zia Abdulzai ha ammesso che le guardie afgane non hanno capito si trattasse di un commando di terroristi e hanno permesso al gruppo di superare i controlli. Il primo degli attentatori si è fatto esplodere davanti all’edificio, così altri uomini armati, almeno sette secondo le ricostruzioni, sono riusciti ad entrare all’interno dell’edificio dove è seguita una sparatoria.

I talebani hanno rivendicato l’attentato, puntando il dito contro gli addestratori statunitensi e israeliani che sarebbero all’opera nel quartier generale delle forze dell’ordine. Nonostante le truppe straniere siano ormai forze speciali addette al training della polizia locale, non si attenuano le contrapposizioni tra talebani e le forze internazionali presenti nel Paese.

Così molti alleati di Stati Uniti e Gran Bretagna optano per il ritiro delle proprie truppe. Entro la fine dell’anno chiuderà la principale base australiana a Tarin Kowt nella provincia meridionale di Uruzgan. Terminerà così una missione militare durata 12 anni e che lo stesso ministro della difesa Stephen Smith ha detto essere durata fin troppo. “Siamo stati in Afghanistan per più di un decennio. Non siamo stati aiutati dalla distrazione della guerra in Iraq, abbiamo imparato che la cosa più facile del mondo è entrare, e quella più difficile uscire” ha commentato il ministro australiano.

Silvia Sciorilli Borrelli