Inaugurazione dell'ufficio talebano a Doha, in Quatar (AFP)

Doveva essere un importante passo in avanti nel processo di pace in Afghanistan. Invece l’inizio del dialogo con i Talebani, appena annunciato da Barack Obama al G8 irlandese, rischia di essere un nuovo ostacolo. A dissociarsi dalla nuova linea statunitense è infatti proprio il presidente afgano Hamid Karzai, che mercoledì 19 giugno ha deciso lo stop ai cosiddetti “negoziati di sicurezza”, gli accordi tra Kabul e Stati Uniti per il ritiro americano entro il 2014.

Per un tavolo che si forma un altro salta e la pace in Afghanistan si allontana. La colpa è addossata da Karzai proprio alle “dichiarazioni e gli atti inconsistenti” dell’America sul processo di pace con gli “studenti” di Allah, oppositori del governo di Kabul. Lo storico incontro tra guerriglieri e amministrazione Obama dovrebbe avvenire giovedì a Doha, in Qatar, dove i Talebani hanno aperto ieri una sede di rappresentanza. Gli americani avrebbero posto come condizioni la rottura dei tutti i rapporti con Al Qaeda, la fine degli attacchi e il riconoscimento della Costituzione della “Repubblica islamica dell’Afghanistan” varata nel 2004. Condizioni sulle quali ancora non è arrivata nessuna risposta.

Il portavoce di Karzai, Aimal Faizi, chiarisce così la posizione di Kabul alla France Presse: “C’è una contraddizione tra ciò che ciò che il governo Usa dice e quello che poi fa riguardo ai colloqui di pace afghani”. In particolare, il presidente è scontento del nome della sede taliban in Qatar, accettata dall’amministrazione Obama: “Noi ci opponiamo al titolo di ‘Emirato Islamico dell’Afghanistan’ perché una cosa del genere non esiste”, precisa Faizi.

Proprio per questo motivo Karzai avrebbe sospeso il Bilateral Security Agreement, gli accordi su quante truppe statunitensi sarebbero rimaste nel Paese dopo il ritiro formale del 2014, e su che funzioni avrebbero avuto. L’opposizione del governo afgano all’ufficio talebano era nota da tempo, come riportato già la settimana scorsa dal Washington Post. Non è solo una questione di nome e il disaccordo riguarda il peso formale della sede: per Kabul è solo un luogo “franco” dove possono avvenire i negoziati, per i titolari è una sede politica a tutti gli effetti, per “aumentare le relazioni con i Paesi del mondo”: un’ambasciata, insomma.

I Talebani, intanto, non sembrano aver deposto le armi né contro Kabul né contro Washington. Martedì sera un infiltrato afghano ha ucciso cinque agenti della polizia locale nella provincia meridionale di Helmand. L’azione è stata rivendicata dai ribelli, che avevano annunciato già ad aprile una campagna contro le forze governative. Poco prima, un altro attentato, dove quattro soldati americani sono stati uccisi da razzi sparati contro la base aerea di Bagram, a nord della capitale. Anche in questo caso c’è stata rivendicazione, qui da parte del portavoce degli insorti Zabihullah Mujahid.

Fino ad ora gli Stati uniti, presenti sul territorio con 66 mila soldati, hanno ripetuto che la negoziazione di pace deve essere gestita dal governo afgano. I colloqui coi Talebani dovrebbero essere solo “preliminari” per creare confidenza tra Kabul e i ribelli. Cosa che le parti faticano ad accettare.

Eva Alberti